Pascale Marthine Tayou: «In tutto quel che faccio c’è il desiderio di scacciare l’oscurità con un po’ di luce»

L’artista camerunense, autore per la illy Art Collection delle tazzine del trentennale, ripercorre gli anni della formazione e i suoi rapporti con l’Italia

Carlo Bach e Pascale Marthine Tayou a Frieze
Federico Florian |  | Londra

In occasione del trentesimo anniversario della illy Art Collection, Pascale Marthine Tayou firma il nuovo design delle celebri tazzine da caffè, che ha presentato a Londra nell’ambito di Frieze. Nato in Camerun nel 1967, l’artista rivela a «Il Giornale dell’Arte» le sue aspirazioni artistiche e i dettagli della collaborazione con illy.

Si è iscritto a legge per poi abbandonare l’università e dedicarsi all’arte. Agli albori della sua carriera, ha persino cambiato nome. Perché ha deciso di fare l’artista?
Ho cominciato a studiare legge perché credevo nell’onestà, nel fatto di difendere valori positivi. Volevo avere un impatto positivo nella vita degli altri. I miei stessi professori, però, predicavano bene ma razzolavano male. Erano inattendibili. Da quando l’ho capito ho deciso di interrompere gli studi. Se chi detiene posizioni di potere agisce come un criminale, io, così mi  dicevo, volevo essere un buon criminale. Ed è da questo punto di vista che mi sono avvicinato all’arte.
Per quanto riguarda il mio nome, è un omaggio ai miei genitori. All’epoca vivevo con mio zio e quindi ho pensato: se prendo in prestito il nome dei miei genitori è come se vivessi per sempre con loro. Martine è il nome di mia madre e Pascal il cognome di mio padre. Ho reso femminile il nome Pascal, aggiungendo la «e» finale. Mentre ho aggiunto una «h» a Martine per rendere il nome più personale.

L’atto di cambiare il nome ha dunque segnato il principio della sua nuova vita da artista.
Le persone mi definiscono artista, ma non saprei se lo sono. Faccio solo quello che mi piace fare. È un’etichetta che serve agli altri per definire quel che faccio, suppongo. Non ho una formazione artistica tradizionale. La gente mi descrive come un autodidatta. Più che un artista sono una persona che produce qualcosa.

Lei stesso si definisce un viaggiatore. È nato e cresciuto in Camerun per poi trasferirsi in Belgio. In che modo il suo lavoro affronta il tema del viaggio e del dislocamento?
Quando ero ragazzo e vivevo ancora in Africa (avrò avuto 15, 16 anni) sognavo di viaggiare per il mondo, di camminare per i viali di qualche città straniera. E anche se all’epoca lo facevo solo nella mia mente, stavo già viaggiando. Come esseri umani noi impariamo vivendo, man mano che facciamo esperienza del mondo. E imparare equivale a viaggiare. Il viaggio non è solo uno spostamento fisico, da un posto a un altro. È anche un movimento interiore, qualcosa di più profondo.

E l’arte è un mezzo che le permette di viaggiare sia fisicamente che con la mente.
Sono fortunato perché grazie al mio lavoro le persone vengono da me, e mi offrono tante chiavi diverse per aprire tante piccole porte, ovunque nel mondo. È un grande privilegio.

Qual è il suo rapporto con l’Italia? Sono molti anni ormai che lavora con Galleria Continua.
Continua mi rappresenta da ben venticinque anni. Prima di loro avevo chiuso i rapporti con le mie altre gallerie. Volevo essere indipendente. Ma quando Continua mi ha contattato, ho cambiato idea.

E cosa l’ha portato a cambiare idea, per poi restare con loro così a lungo?
Il rapporto umano che si è creato tra di noi. Nutriamo un rispetto reciproco, ci capiamo. Inoltre mi hanno dato l’opportunità di fare quel che voglio. Ci comportiamo gli uni con gli altri come dei «buon criminali».

illy è uno dei brand di caffè più famosi in Italia e nel mondo. Com’è nata la vostra collaborazione?
Mi ha chiesto di decorare le tazzine e questo ha innescato alcune riflessioni. Mi sono domandato perché la gente beve il caffè. La ragione, io credo, è che ci offre conforto, leggerezza. E ho cercato di trasferire questo stato d’animo nel design delle tazzine.

Sulle tazzine troviamo alcuni motivi iconografici ricorrenti nelle sue opere, come l’uovo. Penso al muro di uova colorate che ha presentato alla Serpentine Gallery nel 2015. Ma anche il tema della maschera, che si ritrova nei suoi totem, ad esempio.
Sulle tazzine volevo rappresentare volti di persone, tutti colorati. Il colore è un modo per esprimere la gioia che provano nel bere il caffè. Accanto vi è un albero da cui spuntano chicchi di caffè. Ma potrebbero essere anche uova, come diceva lei. E anche i chicchi/uova sono colorati, a indicare positività, energia, dinamismo. Volevo creare un’immagine gioiosa.

Le uova o chicchi variopinti mi fanno pensare anche ai sassi e alle pietre di diversi colori, un’opera che faceva parte della stessa mostra alla Serpentine. Questo lavoro, per quanto festoso, nascondeva anche un significato più serio e profondo: il colore delle pietre era un’allusione al fatto di essere una persona «di colore», e di come tutti noi, in fin dei conti, siamo di colori diversi.
Nelle tazzine per illy ho certamente attinto al mio classico vocabolario iconografico. Chi ha dimestichezza con il mio lavoro può coglierne i vari riferimenti. Ma la mia intenzione era soprattutto quella di sollevare gli animi, di dare un po’ di felicità alle persone. Viviamo in un mondo difficile, intriso di pessimismo. E personalmente, è il mio lato pessimista a rendermi un ottimista. Del resto, c’è un’unica preoccupazione alla base di tutto quello che faccio: scacciare l’oscurità con un po’ di luce.

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