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Parlano i direttori dei venti supermusei: Palazzo Reale di Genova

Matteo Fochessati

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Serena Bertolucci, dopo un museo privato lombardo, torna nella regione natale per dirigere i musei statali genovesi e liguri

Originaria di Camogli, laureata all’Università di Genova e specializzata alla Cattolica di Milano, Serena Bertolucci, 48 anni, dopo soggiorni di studio all’estero e oltre 10 anni di collaborazione con il museo e il giardino botanico di Villa Carlotta a Tremezzo (Co), diretto dal 2010, è tornata in Liguria. 

Che cosa significa questo ritorno?

Una responsabilità enorme, ma anche la gioia di tornare e di provarci: hanno detto che solo una ligure ce la poteva fare in Liguria!

Quali sono state le esperienze più rilevanti del suo percorso? 

Come museologa direi il fatto aver sviluppato un museo in grado di vivere autonomamente e di aver provato che esiste per i musei la possibilità di automantenersi, non solo a livello di budget, ma anche di energie e di pensiero. Ciò che mi interessa di più oggi è l’«interpretazione» del patrimonio: in un progetto che ho condiviso con l’Università Bicocca, «Paesaggi culturali», abbiamo indagato sulle modalità di comprensione da parte di diversi tipi di pubblico. 

Grazie a queste esperienze, quale contributo pensa di poter offrire?

Poiché la Liguria è stata considerata una regione piccola (ma è anche estremamente lunga...) mi hanno affidato anche la direzione del Polo Museale regionale. Il modello che propongo è quello che ho praticato a Villa Carlotta: per ottenere la massima fruibilità del museo bisogna considerare la tutela come la prima forma di valorizzazione. Per l’automantenimento di Villa Carlotta dovevo avere 130mila visitatori all’anno (raggiungevamo i 200mila), ma questo obiettivo l’ho sempre perseguito tenendo presente che il museo è davvero la casa delle muse.

Quali sono dunque i suoi progetti?

Stiamo per inaugurare una grande mostra su Canova. In città c’è già Palazzo Ducale che fa le grandi mostre. Il ruolo di un museo statale è invece quello di valorizzare la città e il suo patrimonio. Ho identificato, con il Comitato scientifico, quattro opere, non necessariamente di proprietà statale e poco note a Genova, attorno alle quali costruire una mostra che abbia una ricaduta di valorizzazione sul territorio. Attorno alla «Maddalena penitente» di Canova (è a Palazzo Bianco ma molti genovesi non la conoscono) ho costruito per Palazzo Reale una mostra di disegni, bozzetti e gessi provenienti da Bassano. Ho poi coinvolto il Museo dell’Accademia Ligustica, con un’esposizione sulla sua Gipsoteca, la Galleria d’Arte Moderna di Nervi, l’Università, che esporrà i suoi Bartolini in memoria di Franco Sborgi, e il cimitero di Staglieno. Creando un sistema sinergico privo di ogni autoreferenzialità presenteremo a Genova una mostra in sei sedi. 

Come intende fare fundraising? 

Con diverse iniziative: abbiamo lanciato campagne di crowdfunding riferite a opere chiave e che vorremmo affidare alla città affinché, facendosi carico di alcuni suoi capolavori, si riappropri del suo patrimonio. Poi progetti legati a Palazzo Reale che, confinando con via Prè, la via tristemente nota per lo spaccio di droga, si confronta con tutte le implicazioni sociali del centro storico. Per recuperare quest’area, creeremo negli spazi che vi si affacciano una zona museale, una galleria d’arte contemporanea con atelier per giovani artisti (il cui nome sarà Preview) e la ludoteca. È una sfida non soltanto museografica, ma cittadina. Il museo deve essere un punto di riferimento per la cultura, la crescita, lo studio, ma anche, data la sua specifica collocazione urbana, per la vita sociale. 

Ci sono problemi nella struttura?

Non ho ancora personale, neanche amministrativo, e scarso è anche quello di custodia. Finora non esiste la struttura e questo ci ha bloccato per diverso tempo. Le poche persone a disposizione sono però entusiaste e collaborative.

Qual è la ripartizione dei ruoli con Luca Leoncini, precedente direttore? 

La mia prima preoccupazione è stata chiamarlo per illustrargli le mie idee: la sua collaborazione è stata immediata. Ho affidato a lui la gestione del museo, così come a Farida Simonetti quella di Palazzo Spinola. La stessa cooperazione l’ho estesa (nominando direttori in ogni singolo museo) a tutto il Polo Regionale che è molto composito: convivono cinque siti archeologici dalla natura molto diversa e i forti militari. Dopo Canova inaugurerò a Sarzana il Mudef-Museo delle Fortezze, che darà in dotazione ai visitatori un chip per una visita personalizzata e per interagire con il museo. 

Quale dialogo intende impostare con le istituzioni pubbliche e private?

L’Università è presente nel mio Comitato scientifico, ci supporterà nella didattica della mostra su Canova e ha iniziato a fare lezioni a Palazzo Reale. L’obiettivo è dare a Genova un’immagine di città d’arte che ancora non ha: intendo quindi collaborare con tutti, anche con i privati. Il mio sogno è di fare una grande mostra di arte islamica e ho già avuto contatti con fondazioni ad hoc. In un’altra iniziativa, che si chiama «Raccontami una storia (dell’arte)», proponiamo mensilmente al museo una singola opera e molti privati hanno dato la loro disponibilità: a maggio tornerà a Genova un Hayez già della collezione Peloso, «Pietro l’Eremita». 

Ha in mente nuovi allestimenti a Palazzo Reale e a Palazzo Spinola?

A Palazzo Reale è prevista un’importante campagna di restauro (per la quale abbiamo ricevuto 1,3 milioni di euro) che permetterà di ampliare il percorso espositivo del 40 per cento. Anche a Spinola, dove abbiamo avuto la donazione di un importante Gregorio De Ferrari, avvieremo la  riqualificazione della casa museo.

E a livello regionale?

Abbiamo consegnato a Sanremo la Fortezza Santa Tecla. Cominceremo l’intervento di restauro del sito di Luni, con la copertura della domus degli affreschi, che sarà riaperta al pubblico, e il restyling del museo. Stiamo pensando a interventi sul museo archeologico di Chiavari e a nuovi utilizzi per il Castello di Lerici. 

Quali aperture al contemporaneo?

Alla prossima edizione dei Rolli faremo «Le terrazze del contemporaneo»: ospiteremo artisti sulle nostre terrazze, che stiamo restaurando. 

Quali prospettive determina l’autonomia amministrativa?

La sfida per noi è recuperare un rapporto armonico con la struttura ministeriale. È il primo passo verso l’autonomia del museo, ma altrettanto importante è accompagnare l’evoluzione di queste istituzioni con la coscienza di potercela fare, soprattutto nel caso delle realtà più piccole. Chi verrà dopo di noi riuscirà ad approfittare dell’autonomia in modo più completo. 

Quali migliorie servono al sistema?

Io ho iniziato rivalutando la coscienza di ogni singolo lavoratore. Il meccanismo del sistema tende infatti a spersonalizzare il lavoro. Auspico un sistema che tuteli le memorie del passato, ma che non sia ancorato al passato. Per tutelare e valorizzare il nostro patrimonio dobbiamo farlo in maniera moderna. È necessario un cambio di mentalità assoluto e una nuova coscienza civica rispetto ai beni dello Stato.

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Matteo Fochessati, 12 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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