Paesaggi vissuti e sognati

All'Albertina di Vienna la storia e l'evoluzione di un genere pittorico tra la rappresentazione della natura e l'interiorità umana

Emil Nolde, «Il Sole d’Inverno», 1908
Giovanni Pellinghelli del Monticello |  | Vienna

L’Albertina presenta fino al 22 agosto «Città e Paesaggio. Fra sogno e realtà», mostra che spazia dalle origini del paesaggio come autonomo genere pittorico fino ai sogni sulla natura di Paul Klee, passando per Dürer e Altdorfer, Claude Lorrain, Rembrandt, Canaletto, Fragonard e Boucher, il Biedermeier e Schiele, e affianca opere molto celebri a dipinti da decenni non più esposti al pubblico.

Gli ultimi cinque secoli del paesaggio in pittura sono illustrazione dell’evoluzione dell’identità umana perché tramite la rappresentazione della natura l’uomo rivela se stesso. Dopo il medievale trionfo della rarefatta negazione del paesaggio nei fondi oro, il Rinascimento porta l’uomo e la natura al centro dell’attenzione artistica.

Pioniere del «paesaggio» come soggetto autonomo e del Naturalismo è Albrecht Dürer a cui segue lo splendido fiorire nella pittura olandese del Secolo d’Oro. L’opulenta civiltà borghese dei Paesi Bassi calvinisti, segnata da quello che Johan Huizinga e Simon Schama chiamano «l’imbarazzo della ricchezza» o «il disagio dell’abbondanza», è committente ansiosa di dipinti non religiosi: nature morte e paesaggi d’ogni tipo e angolazione.

Nel XVII secolo il paesaggio s’impone nella pittura barocca italiana e francese; a Roma, con la sua morbida atmosfera assolata e le pittoresche rovine, esso diviene tema centrale di un paesaggismo che non ritrae la Natura in sé bensì ne ricerca e cattura l’atmosfera poetica. Il Settecento esalterà il paesaggio fra artificiosità esagerata e le idilliache visioni di François Boucher.

L’Ottocento si divide fra Classicismo, Romanticismo e Realismo: Caspar David Friedrich, pittore romantico per eccellenza, proietta nella natura sublime la malinconia e la nostalgia dell’Infinito. A metà secolo la rappresentazione dei paesaggi urbani, consona all’età borghese, ritrae la rapida crescita delle metropoli europee mentre sul fronte naturalistico l’idealizzazione arcadica cede alla rappresentazione realistica delle campagne.

Tra fine Ottocento e l’inizio del XX secolo il clima intellettuale oscilla fra la corsa fideistica al progresso e l’inquietudine stanca d’una civiltà al tramonto e industrializzazione e urbanizzazione risvegliano il desiderio di romanticismo e un crescente pessimismo culturale: nascono i disegni a carboncino di Ludwig Röschs e il mondo distopico di Alfred Kubin mentre Emil Nolde, August Macke e Paul Klee non sono più interessati alla riproduzione pittorica dei luoghi ma all’immagine in sé, alle forme, alle cromie, staccate dal contesto naturale e portate all’estrema luminosità: non è più il paesaggio visibile agli occhi il centro pittorico bensì la sua interpretazione nell’Espressionismo e nell’Astrattismo.

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