Otto mostre da vedere durante la London Art Week 2022

Dall’amore di Cézanne per la Provenza alla Tate Modern sino alla decifrazione del codice dell'Antico Egitto al British Museum, passando per la regia di Ufuoma Essi a Gasworks e l’installazione sonora di Marysiya Lewandowska alla Cosmic House

«The François Zola Dam (Mountains in Provence)» (1877-8) di Paul Cezanne © Amgueddfa Cymru – National Museum of Wales
Martin Bailey, José da Silva, Maev Kennedy, Andrew Pulver, Edwin Heathcote, Seb Summers |  | Londra

Cezanne, Tate Modern
Fino al 12 marzo 2023

Sebbene Paul Cézanne (1839-1906) abbia trascorso quasi metà della sua vita a Parigi e dintorni, il suo cuore è sempre rimasto in Provenza. Una volta scrisse dei «legami che mi legano a questa vecchia terra natale, così vibrante, così austera».

La nuova mostra che la Tate Modern presenta dal 5 ottobre al 12 marzo sottolinea proprio l’ispirazione che egli trovò nei paesaggi intorno alla sua città natale, Aix-en-Provence. I temi provenzali ricorrono costantemente nelle sue opere: i terreni della casa di famiglia nota come Jas de Bouffan; il suo studio nell’allora periferia di Aix, a Les Lauves; la cava abbandonata di Bibémus con le sue spettacolari formazioni rocciose e, soprattutto, le vedute della cresta calcarea del Mont Sainte-Victoire.

La mostra londinese, che si è assicurata i prestiti di sette dipinti a olio di Sainte-Victoire, provenienti da musei di Parigi, Basilea, Baltimora, Detroit, Minneapolis, Filadelfia e Washington DC, è la più grande dedicata a «Cezanne» (nel titolo il museo ha eliminato l’accento per riflettere l’originale grafia provenzale) in Gran Bretagna da oltre un quarto di secolo, con 65 dipinti a olio e 17 opere su carta, e segue la presentazione all’Art Institute di Chicago, dove ha attirato circa 190mila visitatori.

Oltre ai prestiti del museo, sono presenti nove dipinti raramente visti prestati da collezioni private. Due provengono da un collezionista del Derbyshire: «Ritratto del figlio dell’artista» (1881-82) e un’opera tarda, forse non finita, «Mont Sainte-Victoire visto da Les Lauves» (1904 ca). Tra gli altri prestiti privati c’è «L’Estaque con i tetti rossi» (1883-85), venduto l’anno scorso da Christie’s per 55,3 milioni di dollari. Il lavoro scientifico, in particolare sui Cézanne dell’Art Institute di Chicago, è stato rivelatore: i conservatori hanno rimosso la vernice scolorita dai dipinti a olio, lasciando le superfici nude, come preferiva l’artista.

Una sorpresa della mostra è che molte delle opere erano un tempo di proprietà di altri artisti. Tra i primi collezionisti figurano Caillebotte, Degas, Gauguin, Matisse, Monet, Picasso e Pissarro. Monet, che possedeva 14 dipinti a olio di Cézanne, lo definì «il più grande di tutti noi». Picasso, che parlava di Cézanne in termini simili, acquistò un terreno sul pendio di Sainte-Victoire per essere più vicino a quello che la curatrice della Tate Natalia Sidlina definisce «il suo antenato spirituale». Ancora oggi Cézanne rimane un «artista degli artisti». Tra i prestatori della Tate c’è anche l’espressionista astratto Jasper Johns, che ha concesso tre acquerelli.

[Martin Bailey]
Una veduta della mostra di Frank Auberbach «The Sitters» (2022), Piano Nobile, Londra. Cortesia di Piano Nobile. Foto David Owens
Frank Auerbach: The Sitters, Piano Nobile
Fino al 16 Dicembre

Questa mostra è la prima panoramica dedicata ai ritratti del pittore tedesco-britannico Frank Auerbach e comprende più di 40 dipinti e disegni che vanno dal 1956 al 2020. La mostra esplora il legame speciale tra Auerbach e i suoi clienti, modelli che partecipano a sessioni settimanali per mesi, anni e decenni. Per il pittore i suoi dipinti devono soddisfare due criteri: l’immagine deve essere nuova e deve essere vera, risultando allo stesso tempo «sconosciuta e folle» e «banalmente e chiaramente come il soggetto».

[Seb Summers]
La stanza di Nan come studio per la ricerca nella Cosmic House. Foto Marysia Lewandowska, cortesia The Cosmic House
Marysiya Lewandowska: how to pass through a door, The Cosmic House
Fino al 10 settembre 2023

Una nuova installazione sonora dell’artista Marysiya Lewandowska accompagnerà le passeggiate dei visitatori nella Cosmic House, l’ex casa di Charles Jencks, storico dell’architettura e provocatore postmoderno.

Se le idee, l’arguzia e il senso dello stile e dell’umorismo di Charles sono incarnati e racchiusi in questa casa (ora aperta come museo), Lewandowska si è impegnata a far rivivere la voce di Maggie Jencks, una persona formidabile che è stata determinante nella progettazione della casa e il cui nome continua a vivere attraverso i centri di cura del cancro Maggie’s che ha fondato insieme al marito.

L’opera di Lewandowska, «Come attraversare una porta», prende la forma di tracce sonore che si disperdono tra le stanze della casa. Una di queste è la registrazione di una conferenza tenuta da Maggie Jencks nel 1988 sui giardini cinesi (la sua area specialistica di ricerca). «Quello fu anche, aggiunge Lewandowska, l’anno in cui le fu diagnosticato il cancro». Questo pezzo pervade la Spring Room, parte del progetto di Jencks di una casa disposta secondo le stagioni che si affaccia sul giardino che Maggie ha contribuito a concepire.

L’opera è il risultato di una residenza inaugurale lunga un anno presso la Cosmic House, durante la quale l’artista si è interrogata sui confini del professionale, del personale, del culturale e dell’archivistico, e sulle tensioni tra tutti questi aspetti nella fondazione di una nuova istituzione pubblica. L’opera si inserisce tipicamente nella pratica di Lewandowska di scavare negli archivi istituzionali per recuperare voci e contributi di donne. Tra questi, il suo progetto «The Women’s Audio Archive» e il suo lavoro «It’s About Time» al V&A Pavilion of Applied Arts alla Biennale di Venezia del 2019, che ha visto l’utilizzo di voci romanzate per concentrarsi sull’assenza delle donne nella storia dell’arte.

«Ponendo la voce al centro del progetto, la casa agirà come uno strumento ben temperato che accelera la sua recente transizione da casa a museo, afferma Lewandowska. La voce non può mai essere sostituita con un’altra; appartiene per sempre a una persona e richiama ad esistere il suo proprietario».

[Edwin Heatcote]
«Misleading Like Lace» (2022) di Anj Smith. Foto Alex Delfanne, cortesia di The Perimeter
Anj Smith: Where the Mountain Hare has Lain, The Perimeter
Fino al 17 dicembre

La mostra presenta opere nuove insieme ad altre provenienti dalla collezione di Alexander V. Petalas e costituisce la prima presentazione personale del lavoro di Anj Smith a Londra dal 2015. L’idea della mostra è stata, secondo Smith, quella di contrastare il «consumo frenetico». Composta da una selezione ridotta di otto dipinti e due incisioni, dovrebbe consentire agli spettatori di rallentare e contemplare le immagini ultraterrene della pittrice britannica. La galleria ha inoltre invitato il designer Robert Storey a creare uno spazio meditativo per gli intricati dipinti di Smith, per consentire ai visitatori un momento di totale immersione nell’universo dell’artista.

[Seb Summers]
 «Girl in a Green Dress» (1954) di Lucian Freud © The Lucian Freud Archive / Bridgeman Images
Lucian Freud: New Perspectives, National Gallery
Fino al 22 gennaio 2023

La National Gallery, in occasione del centenario della nascita del pittore (1922-2011), presenta la retrospettiva «Lucian Freud: New Perspectives» (dall’1 ottobre al 22 gennaio). Freud, innegabilmente, è ovunque; negli ultimi due decenni, solo a Londra, è stata organizzata quasi una dozzina di mostre sul suo lavoro, tra cui quelle alla National Portrait Gallery nel 2012 e alla Royal Academy nel 2019. L’anno scorso il suo lavoro è stato esposto alla Tate Liverpool, mentre diverse mostre minori si svolgeranno in concomitanza con quella della National Gallery.

«La sua popolarità dimostra la qualità del suo lavoro: alla gente piace vederlo e c’è molto da vedere, dichiara il curatore Daniel F. Herrmann della National Gallery. Ma credo anche che molte esposizioni mostrino un approccio a Freud che è già stato visto in precedenza. Questo è un ottimo momento per riconsiderarlo ed è quello che stiamo cercando di fare».

L’approccio di Herrmann consiste essenzialmente nel riposizionare una figura importante: «In questo momento gli artisti più giovani sono interessati al suo lavoro, aggiunge. C’è una vera e propria rinascita della figurazione, di come trasmette messaggi, di che cosa può fare. Tutte queste domande si intersecano quando si pensa a Freud».

Herrmann afferma di ammirare «l’impegno di Freud nella pratica della pittura», che «si accompagna a una certa dose di radicalità. Il lavoro richiede e premia uno sguardo radicale. Si impara molto quando si cerca di capire come funziona ogni suo quadro». L’impegno di Freud nei confronti della carne e della nudità è una parte fondamentale di queste riflessioni. «Si tratta di verità. Non attraverso la semplice verosimiglianza o una sorta di fotorealismo, ma attraverso la veridicità: qual è la verità di una persona? Per Freud la vita è pittura, la carne è pittura, la pittura è carne».

Per sostenere la sua tesi circa la nuova rilevanza ottenuta dalla figurazione, Herrmann ha chiamato a contribuire al catalogo le artiste Tracey Emin, Jutta Koether e Chantal Joffe; tutte parlano della crudezza e dell’intimità raggiunte da Freud. Il curatore suggerisce, inoltre, che c’è stato un cambiamento nel modo in cui vengono visti i dipinti più spettacolari di Freud, come i ritratti di Leigh Bowery e Sue Tilley: «Dieci o vent’anni fa, veniva spesso definito un pittore dall’“occhio inflessibile” o dallo “sguardo crudele”. Ma in realtà, le cose che le persone trovavano crudeli derivavano dai loro giudizi sul soggetto ritratto. Freud dipinge una figura con un corpo al di fuori dei canoni tradizionali, e francamente la celebra. Questo è il motivo per cui oggi le persone sono interessate alla figurazione: è un modo per affrontare l’identità e la persona, ci fornisce un mezzo per pensare a noi stessi».

Herrmann tiene a sottolineare il legame che Freud aveva con la National Gallery, che a volte gli era concesso visitare fuori orario. È qui che l’artista maturò la volontà di fare riferimento ai capolavori del passato nelle sue opere, come nel caso di «Large Interior W11 (after Watteau)» (1981-83). Ma il curatore indica anche l’autoritratto nudo di Freud, «Painter Working, Reflection» (1993), che a suo avviso allude sia al dipinto in cui Vincent van Gogh raffigura i suoi stivali, sia all’autoritratto di Michelangelo nella pelle scorticata di san Bartolomeo nel «Giudizio universale».

Questa mostra fa il punto definitivo su Freud? Herrmann spera di no.

[Andrew Pulver]
Uno still dal film «Is My Living In Vain» (2022) di Ufuoma Essi. Cortesia dell’artista
Ufuoma Essi: Is My Living in Vain, Gasworks
Fino al 18 dicembre

Gasworks presenta un nuovo film commissionato dal regista e artista londinese Ufuoma Essi. «Is My Living in Vain» è stato prodotto attraverso l’uso di filmati d’archivio in VHS e clip di YouTube, abbinati a riprese in loco in 16 mm e a un paesaggio sonoro di storie orali. Il film è una riflessione sulla storia e sul potenziale emancipativo della chiesa nera come spazio di appartenenza, affermazione e organizzazione comunitaria, con particolare attenzione alle congregazioni di Philadelphia ovest e Londra sud.

[Seb Summers]
«Hammock» (1913-14) di Helen Saunders, The Courtauld, London (Samuel Courtauld Trust) © Estate of Helen Saunders
Helen Saunders: Modernist Rebel, Courtauld Gallery
14 ottobre-29 gennaio 2023

La figura angolare nella «Vorticist omposition (Black and Khaki)» (1915 ca) di Helen Saunders esce dalla canna di un fucile. A differenza di altri esempi di Vorticismo prebellico, una breve ma esplosiva ripresa britannica del Cubismo e del Futurismo, sembra evocare il costo umano della guerra meccanizzata piuttosto che glorificarla.

Saunders era una delle due sole donne del gruppo Vorticista, accanto a una dozzina di artisti maschi, tra cui il fondatore Wyndham Lewis, Jacob Epstein e Henri Gaudier-Brzeska. Le principali uscite pubbliche del movimento furono due mostre collettive, una a Londra e una a New York, e due numeri della rivista Blast. La Saunders fu inclusa in entrambe le mostre e il suo lavoro e i suoi scritti furono pubblicati nella seconda edizione della rivista, che distribuiva da casa sua nel quartiere londinese di Chelsea. (Il suo cognome appare come «Sanders» nel tentativo apparente di risparmiare alla sua famiglia qualsiasi imbarazzo sociale).

Il Vorticismo si spense non appena la carneficina della Prima guerra mondiale diventò una realtà, il romanticismo verso la meccanizzazione si disperse e molti dei suoi membri vennero chiamati alle armi, tra cui Saunders in un ruolo d’ufficio, e Gaudier-Brzeska, che scrisse un pezzo per il secondo numero di Blast dalla trincea, poco prima di essere ucciso.

Nato nel 1885 in una famiglia benestante di Ealing, Saunders studiò arte alla Slade e alla Central School of Arts and Crafts ed espose accanto ad artisti del Bloomsbury Group, tra cui Roger Fry, Duncan Grant e Vanessa Bell.

Sebbene Saunders abbia continuato a lavorare anche dopo la guerra, si allontanò dal mondo dell’arte in una sorta di «isolamento autoimposto, secondo la sua discendente Brigid Peppin, rifiutando raggruppamenti professionali». Continuò a lavorare, ma con uno stile che si rifaceva ai post-impressionisti che ammirava, in particolare Paul Cézanne. L’artista francese dipinse diversi paesaggi nei dintorni di L’Estaque, nel sud della Francia, e quattro acquerelli degli anni Venti realizzati quando Saunders visitò il villaggio sono presenti in mostra, compreso un dipinto geometrico della casa di Cézanne.

Le 18 opere di questa piccola mostra sono rimaste alla famiglia di Saunders dopo la sua morte nel 1963, prima di essere donate alla Courtauld nel 2016 da Peppin. Dalla fine della Prima guerra mondiale sono state organizzate poche mostre sull’opera dell’artista, con la notevole eccezione di una rassegna all’Ashmolean Museum di Oxford nel 1996. «La scomparsa di gran parte dei primi lavori di Saunders e la scarsità di informazioni biografiche hanno ostacolato la ricerca e le argomentazioni sulla centralità dell’artista nel progetto vorticista», scrive lo storico dell’arte Jo Cottrell nel catalogo. Di recente, però, si è risvegliato l’interesse per l’artista, che ha partecipato a due mostre collettive: «Radical Women» alla Pallant House Gallery di Chichester (insieme alla collega vorticista Jessica Dismorr) nel 2019 e «Women in Abstraction» al Centre Pompidou di Parigi lo scorso anno.

[José da Silva]
«Hammock» (1913-14) di Helen Saunders, The Courtauld, London (Samuel Courtauld Trust) © Estate of Helen Saunders
Hieroglyphs: Unlocking Ancient Egypt, British Museum
13 ottobre-19 febbraio 2023

Una grande mostra che inaugura al British Museum offre storie di beni trafugati, aspre rivalità tra studiosi, sesso e magia. «Hieroglyphs: Unlocking Ancient Egypt» ha come fulcro la Stele di Rosetta, uno degli oggetti da museo più famosi al mondo, ed esplora la competizione tra lo studioso francese Jean-François Champollion e il polimatico inglese Thomas Young per decodificare i suoi antichi simboli. Nel frattempo, durante la durata della mostra i conservatori lavoreranno sul sarcofago «The Enchanted Basin», ritenuto per secoli un lavacro magico per curare le pene d’amore; in Egitto, gli inglesi costruirono in seguito un ospedale per le malattie veneree nel luogo del ritrovamento. La mostra includerà prestiti da molti musei e istituzioni scientifiche internazionali, ma nessuno dall’Egitto. L’ex ministro delle antichità egiziano Zahi Hawass ha colto l’occasione della mostra per chiedere la restituzione della Stele di Rosetta, la cui storia non è ancora finita.

[Maev Kennedy]

L’occhio sulla London Art Week 2022

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