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Orienti e Occidenti sulla Via della seta

Un viaggio lungo la storia del paesaggio e del rapporto che con esso l’uomo ha intessuto

Elena Casalini

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Via della Seta: una definizione figlia di quel mondo che riusciva a incasellare tutto, quando ancora la storia non era un labirinto profondo in cui rischiare di perdersi e si poteva partire con l’Iliade in una mano e la vanga nell’altra a cercare Ilio combusta, persa nella leggenda ma mai dimenticata. Quando Mommsen, il titano, scriveva la raccolta di tutte le epigrafi latine del mondo e Sir Evans a Cnosso inseguiva il minotauro.

Come il «Medioevo», anche la «Via della Seta», o nella sua versione pluralista «Le Vie della Seta» è un’etichetta riduttiva e incapace di rendere una lontana eco dell’incredibile polifonia storica che rappresenta; epppure ha l’innegabile pregio di offrire una definizione pratica e veloce per indicare il cuore dello sviluppo del nostro mondo, il solomonico nodo di congiunzione degli orienti con gli occidenti, dall’alba della civiltà ai giorni nostri. «Il tempo è un luogo liquido e il luogo è un tempo solido» sentenziava Ibn Arabi: eccola, la Via della Seta, il non luogo madre della nostra civiltà.

Le Vie della Seta. Popoli, culture, paesaggi
a cura di Susan Whitfield è l’emozionante racconto dell’arte e della storia che ha unito gli Han ai Romani, i Khan agli Czar, i Dogi ai Beg, Zarathustra a Buddha al profeta figlio di un falegname. Rendere la pluralità, la complessità degli intrecci, la vastità dei territori, gli innumerevoli regni e le squisitezze delle evoluzioni tecniche gelosamente custodite (dalla seta alla porcellana), cesellare credenze e stili e riuscire nell’intento con chiarezza e precisione è opera degna del miglior compositore polifonico barocco, o del più ricercato mosaicista alla corta bizantina. È un libro che rende la complessità un punto di forza, riuscendo in un’impresa che sembra figlia di un'altra epoca storica, ma con metodi, dubbi e approcci metodologici squisitamente attuali.

A guisa di moschea o di cattedrale, il volume è sorretto da cinque pilastri, ognuno dei quali segue un tipo di paesaggio caratteristico delle Vie della Seta (steppa, montagne e altopiani, deserti e oasi, fiumi e pianure, mari e cieli). Per ogni sezione una spaziosa, facilmente leggibile e dettagliata carta geografica riporta con numeri progressivi i siti menzionati nella trattazione delle tematiche (delizioso accorgimento che agevola sia il lettore sia lo studioso esperto), una sintetica ma straordinariamente curata bibliografia di approfondimento, saggi generali introduttivi sulla storia delle regioni corredati da schede tematiche sulle scoperte archeologiche, sulla cultura materiale, sulle mode e su siti particolarmente importanti.

Le Vie della Seta diventa un viaggio lungo la storia del paesaggio e del rapporto che con esso l’uomo ha intessuto, cesellato da un corredo fotografico impressionante, quando non mozzafiato. Le voci degli autori che accompagnano il lettore lungo le quasi 480 pagine sono sapientemente armonizzate e la molteplicità dei temi affrontati è organizzata in moda tale da evitare dispersione e superficialità. Un’opera da leggere, da studiare, da interiorizzare, da godere.

Ibn Battuta sosteneva che viaggiare rende abitanti di molti luoghi insoliti e strani, ma finisce per lasciar il viandante straniero nella sua terra. È una riflessione emblematica per lo studio delle Vie della Seta, che unendo terre di partenza e di arrivo e mescolandole, hanno creato un mondo sfuggente a chi lo studia, una chimera irrinunciabile. Chi fosse alla ricerca di una sintesi completa, adamantina, curata e approfondita, può finalmente trovare nel volume edito da Einaudi la «sua» petrosa Itaca.

Le Vie della Seta. Popoli, culture, paesagi, a cura di Susan Whitfield, 480 pp., 481 ill., Torino Einaudi, Torino 2019, € 85,00

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Elena Casalini, 12 giugno 2020 | © Riproduzione riservata

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