Ora l'Unesco richiami all'ordine le autorità veneziane

Visioni limitate e interessi conflittuali hanno finora impedito un vero progetto di sostenibilità per la città

Una manifestazione del comitato «No Grandi Navi» Foto Marco Sabadin
Francesco Bandarin |  | Venezia

Il Comitato del Patrimonio Mondiale dell'Unesco, che si riunisce (anche se virtualmente) a Fuzhou in Cina dal 16 al 23 luglio, discuterà tra pochi giorni l’iscrizione di Venezia e della sua laguna nella lista del Patrimonio Mondiale in pericolo. Perché siamo arrivati a questo punto solo adesso, visto che scienziati, ambientalisti e tutti coloro che amano Venezia si lamentano da decenni della situazione in cui si trova la città?

Non ci sono risposte facili ai problemi di Venezia. Negli ultimi 60 anni, sono diventati sempre più complessi, creando un vero e proprio reticolo di questioni sociali, economiche, politiche e ambientali che sembrano paralizzare ogni tentativo di trovare soluzioni praticabili e sostenibili.

Le criticità sono ben note: la conservazione del suo tessuto urbano e dei tesori architettonici e artistici; la difesa della città da inondazioni sempre più frequenti; il declino della popolazione residente; gli effetti del turismo di massa e l'impatto delle moderne operazioni industriali sul fragile ecosistema lagunare.

Negli ultimi decenni, alcuni di questi problemi sono stati affrontati con relativo successo. Gran parte del tessuto fisico della città è stato restaurato e il Mose, il sistema di barriere mobili tra laguna e mare che protegge la città dalle acque alte, ha già dimostrato la sua efficacia ed è quasi completato.

Al contrario, la città non è stata in grado di mantenere la sua struttura sociale ed economica, perdendo gran parte della sua popolazione residente e permettendo che la maggior parte del suo patrimonio abitativo fosse trasformato in B&B e hotel. L'enorme impatto del turismo sulla vita della città ha il suo simbolo più evidente nelle gigantesche navi da crociera che attraversano il bacino di San Marco.

Dopo che la Costa Concordia si era arenata all'Isola del Giglio nel 2012, il governo italiano aveva vietato il passaggio delle grandi navi attraverso il bacino di San Marco, chiedendo che passassero attraverso un altro dei tre ingressi in laguna, la bocca di Malamocco. Tuttavia, in mancanza di un sistema di attracchi alternativi, le cose sono rimaste immutate fino all'aprile 2021, quando il governo ha emanato un altro decreto, questa volta bandendo completamente le navi dalla laguna. Questo decreto, tuttavia, prevede la realizzazione di ormeggi temporanei nella zona industriale di Porto Marghera all'interno della laguna in attesa della costruzione di un nuovo porto extra lagunare.

L’ingresso a Venezia, davanti a San Marco, delle prime grandi navi da crociera all'inizio di giugno ha causato un grande imbarazzo al governo ed è forse stato il fattore che ha spinto l'Unesco a raccomandare al Comitato del Patrimonio Mondiale di iscrivere Venezia nella sua lista di siti in pericolo.

Per scongiurare quella che sarebbe certamente una sanzione umiliante da parte della comunità internazionale, il governo italiano ha emanato, il 13 luglio, un altro decreto che vieta una volta per tutte l'ingresso alle grandi navi da crociera nella laguna di Venezia a partire dal primo agosto prossimo, offrendo risarcimenti alle compagnie di navigazione e all'autorità portuale.  Ma anche questo decreto prevede la costruzione di nuovi ormeggi provvisori per le grandi navi da crociera a Porto Marghera. Pertanto, il bando completo delle navi da crociera dalla laguna di Venezia non avverrà ancora per molto tempo.  

La polemica su questo tema ha ampi risvolti: da un lato le grandi navi, che comprendono anche le petroliere e le navi da carico, necessitano di canali ampi e profondi che mettono a rischio l'equilibrio idrologico del fragile ecosistema lagunare, e richiedono ingenti investimenti per ormeggi, infrastrutture e servizi che non possono essere di natura «temporanea». Dall’altra parte, l'autorità portuale afferma che occupazione e ricavi soffrirebbero se le navi da crociera lasciassero Venezia.  

Di conseguenza, oggi è in corso un braccio di ferro tra il governo della città di Venezia (sostenuto dall'autorità portuale e dai privati ​​proprietari dei terreni da riconvertire), favorevole ai nuovi ormeggi a Porto Marghera, e l’Unesco e gli ambientalisti, che hanno dalla loro parte la nuova legge che impone il bando totale delle navi da crociera dalla laguna.  

A Venezia ci sono naturalmente molti altri esempi di interessi conflittuali di questo tipo: tra l’uso degli alloggi per residenti da un lato e il  turismo di breve durata dall’altro, e tra i tentativi di regolare i flussi del turismo di massa e gli interessi dei negozianti e degli operatori turistici. È evidente che tutte le politiche odierne si basano su visioni di breve termine e sono orientate principalmente alla tutela degli interessi degli operatori. C’è davvero da chiedersi se una visione di lungo termine del futuro di Venezia sia mai stata al centro delle politiche locali e nazionali. Purtroppo sembra di no.  

Altre città colpite dall'eccesso di turismo, come Barcellona o Amsterdam, hanno colto l'occasione del Covid-19 per ridisegnare le proprie strategie economiche, mentre dai politici veneziani non è emerso nulla se non l’idea fissa di tornare ai «bei tempi andati». Guardando all'economia della città, è chiaro che il turismo deve essere frenato e che devono essere sviluppate politiche a sostegno dei residenti, volte alla creazione di una base economica più articolata di quella attuale. Venezia avrà un futuro solo se la sua società tornerà ad avere quella massa critica che distingue una città da un villaggio turistico.

Guardando all'ambiente lagunare, è altrettanto evidente che Venezia non può sostenere il suo continuo adattamento alle sempre crescenti esigenze dell’industria e dei traffici commerciali, e che il dragaggio di nuovi canali per consentire l'aumento del traffico non è solo un atto pericoloso ma addirittura criminale, considerando l'impatto catastrofico sulla laguna dei processi di industrializzazione nel XX secolo.  

Il messaggio inviato al governo italiano dall'Unesco è molto chiaro: Venezia non può più essere trattata solo come un'area di sviluppo industriale e commerciale ma ha bisogno di trovare un equilibrio tra il suo ambiente storico e naturale e la sua economia, lo stesso equilibrio che le ha permesso di sopravvivere per oltre mille anni. Questa visione richiede necessariamente sacrifici economici nel breve periodo:  e queste sono le scelte difficili che un governo nazionale seriamente motivato deve fare e che il mondo si aspetta.  

Ci auguriamo che il Comitato del Patrimonio Mondiale, che per ben due volte non è riuscito a offrire raccomandazioni chiare per la salvaguardia di Venezia, nel 2016 e nel 2019, possa finalmente raccogliere questa importante sfida.

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