Non chiamatelo più Pitocchetto: è un grande
La mostra nel Museo di Santa Giulia a Brescia ha il merito di stabilire finalmente la statura europea di Giacomo Ceruti: dopo la visita sarà difficile per chiunque non riconoscerne l’originalità e la qualità

Può apparire ovvio, tuttavia conviene ribadire che le recensioni alle mostre si scrivono dopo averle viste. Vi immaginate quella di un concerto raffazzonata ascoltandolo alla radio, durante un viaggio in treno che deraglia sul più bello? È ciò che capita comunemente nel mondo dell’arte. Di recente mi è capitato di leggerne una sul settimanale dell’organo di stampa di Confindustria, un tempo rinomato, e intuire che l’autrice aveva visto la mostra seduta in poltrona. Menzionava opere che non erano esposte, mentre il catalogo che aveva scartabellato garantiva, erroneamente, il contrario.
Questo tipo di sciatteria è piuttosto diffuso, ma le buone regole impongono di andarle a vedere le mostre. È fondamentale saper restituire un’impressione generale, possibilmente senza pregiudizi. Non è necessario essere esaustivi, basta dare un’idea (e difatti quella che state leggendo si interromperà sul più bello). Dopo questa serie di consigli non richiesti passiamo alla rassegna di Giacomo Ceruti aperta fino al 28 maggio presso il Museo di Santa Giulia a Brescia, curata da Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti (catalogo Skira).
Mentre uscivo dal museo mi è balenata l’idea che non si vedrà mai più, sulla faccia della terra, un’esposizione del genere. Per il visitatore è come assistere all’ultima passeggiata di un meraviglioso dinosauro, non proprio uno qualsiasi. È importante stabilire la misura di Ceruti, la sua grandezza. Non stiamo parlando di un argomento di portata limitata, diciamo regionale. Nato a Milano nel 1698, documentato a Brescia, Venezia, Padova, Piacenza (morto, sempre a Milano, nel 1767): andrebbe classificato nella schiera dei pittori dell’Italia settentrionale, ma questa casella è un po’ troppo stretta per lui.
Dalla mostra emerge la statura europea del Pitocchetto (un nomignolo che gli è stato affibbiato all’inizio del Novecento). Qui entriamo nell’ambito dell’interpretazione storica. Come facciamo a stabilire che Ceruti è da annoverare tra i grandi pittori della sua epoca? Tanto per cominciare possiamo provare a verificarlo sul campo. Evitiamo di accumulare informazioni e fatti storici, d’altronde essi emergono solo alla luce di una chiave interpretativa. La nostra sarà dettata dall’occhio, dalla sua reazione spontanea di fronte alle opere.
Il cuore di «Miseria & Nobiltà» si sente battere forte all’altezza del ciclo di Padernello. Arrivati a quel tratto del percorso sarà difficile per chiunque non riconoscere l’originalità, la qualità, la straordinaria statura del pittore. È un’esperienza difficile da descrivere, quella di trovarsi immersi in un ambiente costellato da un’epopea di straccioni e strani individui. Si tratta in assoluto dell’opera «totale» di Ceruti forse coincidente con il suo momento espressivo più felice. A pensarci bene la riabilitazione novecentesca dell’autore è passata dalla riscoperta di questo ciclo indimenticabile, ora in larga parte ricomposto attraverso l’accostamento di 14 dipinti.
Prima di arrivare a nuotare in mare aperto il visitatore è stato portato a familiarizzare con l’argomento. A partire da una generosa introduzione dedicata al ruolo cruciale giocato da Roberto Longhi nella riscoperta del pittore. Questi temi sono generalmente trascurati nelle mostre mentre qui è stata allestita una parete che rievoca addirittura la celebre esposizione dei «Pittori della realtà in Lombardia» del 1953, oltre a un affondo, che per il pubblico dovrebbe risultare istruttivo e divertente, sulla «portinaia» di Giovanni Morelli.
La tappa successiva documenta gli esordi di Ceruti, timidi fino a un certo punto, dato che il pittore trova sin da subito il suo passo nella storia, e prosegue con una visione d’insieme sulla diffusione dei soggetti pauperistici nell’Italia del tempo. Si ammirano anche le opere di autorevoli precedenti: Ribera, Sweerts e Bellotti, ma anche del curioso Maestro della tela jeans ecc. Per l’occasione è stato battezzato il simpatico Maestro dell’ambulante Canesso (dal nome dell’antiquario Maurizio Canesso, grande estimatore del genere). È in questa sala che il visitatore debole di cuore è invitato a chiudere gli occhi, perché altrimenti farà la conoscenza di un quadro che non dimenticherà mai più.
La protagonista è una donna di mezza età intenta a cucire uno scampolo di stracci, circondata da una banda di miserabili della più bassa lega. L’incredibile abito indossato dal bambino accovacciato per terra è dipinto con una maestria, una cura, una densità di materia pittorica, in grado di restituirne perfino le sembianze tattili. Ma è lo sguardo magnetico della donna a colpirci: sembra mandare una irrevocabile maledizione alla classe di sfruttatori di tutti i tempi, da quelli passati a quelli a venire.
Si tratta di un dipinto oggettivamente sconcertante e pericoloso, che andrebbe coperto con una tenda e svelato solo a richiesta, come si faceva nelle antiche quadrerie. Sembra inverosimile ma non si conosce ancora il nome del suo misterioso autore. Fin qui ho accennato alla parte della mostra dedicata alla Miseria, sulla Nobiltà ho meno titoli, oltre ad aver terminato lo spazio.
«Miseria&Nobiltà. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento», Brescia, Museo di Santa Giulia, 14 febbraio-28 maggio 2023
L’autore è Professore associato di Storia dell’arte moderna presso l’Università del Salento