Non c’è crisi sul mercato dell’arte, ma fino a quando?

Secondo il rapporto Art Basel/UBS le importazioni e le esportazioni globali di opere d’arte raggiungeranno livelli record a fine 2022, superando i 30,5 miliardi di dollari del pre-pandemia. La sostenibilità di questo sistema è però ancora un problema aperto

Una visitatrice di Frieze Masters 2022, una delle numerose fiere di quest’anno che ha ospitato eventi dal vivo senza misure di distanziamento sociale.
Anny Shaw |

Dopo che il mercato dell’arte si è ripreso meglio del previsto nel 2021, la prima metà di quest’anno ha portato con sé uno tsunami di sfide: la guerra in Ucraina, l’aggravarsi dell’emergenza climatica, l’aumento dell’inflazione e la crisi del costo della vita. Ciononostante, l’importazione e l’esportazione di opere d’arte a livello mondiale è destinata a raggiungere livelli record entro la fine del 2022, superando i 30,5 miliardi di dollari raggiunti nel 2019.

Questi sono i risultati dell’ultima indagine sui collezionisti pubblicata da Art Basel e UBS e redatta dall'economista della cultura Clare McAndrew.
Dopo aver intervistato 2.700 persone con un patrimonio elevato in 11 mercati diversi, McAndrew conclude che la domanda dei collezionisti d’arte continua a essere «estremamente forte» e i progetti di spesa per il resto del 2022 «estremamente ottimistici».

Secondo Forbes, il numero di miliardari globali ha subìto una lieve contrazione del 3% rispetto allo stesso periodo del 2021, mentre il loro patrimonio collettivo è diminuito del 3%, ovvero di 400 miliardi di dollari. Ciò non ha ancora intaccato il mercato dell’arte. Anzi, dopo quasi due anni di blocchi e restrizioni, la voglia di viaggiare e il desiderio di vedere l’arte di persona hanno contribuito a sostenere il mercato.

Nel prossimo anno, il 77% dei collezionisti dichiara di voler partecipare a un numero maggiore di fiere, mostre ed eventi all’estero: un bene per il commercio, ma non per l’ambiente. Tuttavia, la crisi climatica è nella mente dei collezionisti. La sostenibilità è ora al quarto posto tra le dieci principali preoccupazioni dei collezionisti (dopo l’aumento della regolamentazione, la crescita di problemi legali come contraffazioni e falsari e le barriere al commercio internazionale).

È inoltre sempre più evidente che i collezionisti scelgono o prendono comunque in considerazione opzioni più sostenibili. Oggi, il 71% ritiene essenziale o altamente prioritario passare dal trasporto aereo a quello marittimo o terrestre nei prossimi due anni (rispetto al 58% del 2019), mentre il 76% dei collezionisti afferma che acquisterà opere d'arte prodotte in modo sostenibile (rispetto al 60% del 2019) e il 74% afferma che prenderà in considerazione l'utilizzo di materiali di spedizione riutilizzabili o riciclabili (contro il 60% del 2019).

Coloro che prevedono di compensare le emissioni di anidride carbonica derivanti da viaggi legati all’arte sono passati dal 58% del 2019 al 73%. Quasi tutti i collezionisti affermano che pagherebbero un 5% in più per opzioni sostenibili nel 2022, ma solo il 27% pagherebbe un premio del 33%. Per il momento, tutto questo rimane però solo a livello di riflessione: ci sono pochi dati sull’impronta di carbonio del mercato dell’arte e su quali misure quantificabili si stiano adottando per ridurla.

Il rapporto non approfondisce il tema della diversità, se non per notare che la rappresentanza femminile nelle collezioni d’arte globali è aumentata progressivamente dal 2018, quando era al 33%, per arrivare al 42% nel 2022. I mercati più maturi e grandi, come il Regno Unito (47%), la Francia (47%) e gli Stati Uniti (44%), sono tra i più equi.

McAndrew ritiene che non sia tanto il pregiudizio di genere esistente nella mente del collezionista, quanto in realtà la disponibilità di opere di artiste donne nelle gallerie e nelle aste, a influenzare la composizione delle collezioni. Il continuo consolidamento del mercato sta probabilmente contribuendo poco a incoraggiare la diversità.

Nel 2021, il 74% del valore delle opere d’arte importate negli Stati Uniti proveniva da soli cinque Paesi su 199, con Regno Unito e Francia a rappresentare quasi la metà. Quindi, se da un lato il globalismo è stato pubblicizzato come una forza positiva che incoraggia il dialogo interculturale e una maggiore esposizione dell'arte e degli artisti dei mercati emergenti, dall'altro ha anche creato un’ «arena altamente diseguale», come scrive nel rapporto Olav Velthuis, professore e presidente del dipartimento di sociologia dell’Università di Amsterdam.

Si ritiene che la riduzione del commercio transfrontaliero durante la pandemia possa aver incoraggiato una maggiore attenzione sugli artisti e sui mercati locali, anche se, osserva la ricerca, «ciò non ha ancora portato a cambiamenti significativi nelle abitudini del collezionismo per quanto riguarda le nazionalità e le origini degli artisti sostenuti dai collezionisti con un patrimonio elevato».

L’inasprimento delle restrizioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina, il Regno Unito e l’Europa, nonché le sanzioni hanno avuto un impatto negativo su alcuni mercati. Non sono ancora disponibili dati dettagliati sull’impatto delle sanzioni sul mercato dell’arte russo, anche se il rapporto rileva che ci sono 34 miliardari in meno in Russia dall’invasione dell’Ucraina. La Cina, invece, ha perso 87 miliardari, soprattutto a causa della regolamentazione governativa e di un maggiore controllo delle aziende tecnologiche.

UBS suggerisce come le misure restrittive abbiano «portato alcuni dei flussi commerciali artistici con la Russia a essere gestiti in altre giurisdizioni, notando come la Cina abbia espresso opposizione alle sanzioni contro la Russia», mentre nessuna giurisdizione in Africa o in Medio Oriente ha attualmente imposto sanzioni. Secondo la banca d’affari, si sono sviluppati ulteriori flussi commerciali in entrata e in uscita, anche di oggetti di lusso e opere d’arte, con Paesi di queste aree geopolitiche, tra cui, ad esempio, la Russia e gli Stati del Golfo o la Turchia.

Uno degli sviluppi più eclatanti individuati dal rapporto è il calo delle importazioni di opere d’arte nel Regno Unito dopo la Brexit, così come l’aumento della quota di mercato di Hong Kong, che però potrebbe presto diminuire a causa delle prolungate restrizioni per il Covid-19 che minacciano il mercato di questa regione amministrativa speciale. Nel 2000 il Regno Unito rappresentava il 24% delle importazioni globali di arte; nel 2010 la cifra era del 30%; nel 2016 era del 16% e nel 2021 (quando abbiamo sentito per la prima volta l'impatto della Brexit), la quota del Regno Unito nelle importazioni globali di arte era scesa al 7%.

Tuttavia, Paul Donovan, capo economista di UBS global wealth management, sostiene che dovremmo essere «cauti nel dare importanza alla Brexit». Intervenendo sul podcast Intersections di Art Basel, ha osservato come il Regno Unito abbia subito diversi lockdown «più drammatici» nel 2021, che «probabilmente hanno portato parecchie perturbazioni in un mercato che dipende in larga misura dai viaggi globali». L’impatto completo della Brexit sarà valutato meglio nei prossimi due anni, aggiunge Donovan.

In effetti, allo stato attuale, il Regno Unito detiene ancora una quota del 17% del mercato complessivo dell’arte, che lo rende il terzo più grande al mondo, e le prospettive in questo paese, come in altri importanti centri d’arte, rimangono ottimistiche, almeno per coloro che si trovano al vertice della ricchezza.
Tuttavia, questo non risolve le questioni di fondo della sostenibilità.

Come dice Velthuis: «Per un sistema artistico globale più diversificato e resiliente è necessario concentrare l’attenzione su un’unica serie di progetti istituzionali. Ciò porterà automaticamente a una concezione dell’arte più inclusiva e meno gerarchica, che riconosca i valori dell’arte tradizionale, artigianale o indigena. In definitiva, affinché un sistema artistico globale rimanga sostenibile, è necessario affrontare gli squilibri di potere».

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