Nicolas Poussin, in arte Niccolò Pussino

Per il recupero di un'opera si cita uno dei grandi assoluti del Seicento europeo con il nome italianizzato a spanne

Il dipinto di Poussin ritrovato dai carabinieri
Flaminio Gualdoni |

I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Monza annunciano, in un comunicato, di aver recuperato un dipinto «attribuito all’artista francese Nicolas Poussin (Les Andelys, 1594-Roma, 1665), noto in Italia come Niccolò Pussino» eccetera eccetera. La notizia, che sarebbe in sé ovviamente una buona notizia se l’opera fosse davvero un Poussin (il che, a occhio, non è proprio), mi fa tuttavia trasalire e mi diverte.

Alzi la mano chi, italiano, ha mai sentito nominare Niccolò Pussino, a meno che in una seduta medianica non abbia avuto a che fare con lo spirito del contemporaneo Giovanni Pietro Bellori (il quale, per vero, nelle sue Vite scrive sempre Nicolò, mai Niccolò) oppure abbia studiato con un professore particolarmente rétro, di quelli che scambiano per filologia il fare gli sboroni con la «citazione originale».

C’è sì di che trasalire, a ritrovare la dizione «Niccolò Pussino» in un comunicato d’ufficio dei Carabinieri dell’arte. Un ufficiale colto e un po’ dandy? Ti chiedi. No, la risposta è purtroppo più banale: la citazione del comunicato viene dalla voce italiana su Poussin di Wikipedia malfatta come spesso avviene, della quale è uno sbrigativo copia-incolla, che recita proprio «noto in Italia anche come Niccolò Pussino».

Si sta parlando di una cosa che parrebbe seria, del recupero di un’opera di un grande autore che era sparita al tempo dei saccheggi di beni appartenenti a ebrei da parte dei nazisti e che ora è stata recuperata e restituita agli aventi diritto: il resto, salvo la quisquilia di accertare che si tratti davvero di un Poussin (cosa che a quanto pare nessuno ha ancora fatto), è solo contorno.

Ma un comunicato stampa è un comunicato stampa, il che significa che verrà ripubblicato pari pari da decine di testate, online e non, per cui nessuno degli anonimi maneggiatori della notizia si azzarderà a cercare alcunché e, fidando del fatto che Poussin è dichiarato dalla fonte ufficiale «noto in Italia» con quel nome ridicolo da gatto di casa (peggiore persino della traduzione letterale che sarebbe «pulcino»), lo riprodurrà pari pari, conferendo involontariamente al Pussino una dignità d’indicizzazione mai vista prima: come è puntualmente successo.

Vien da ridere, per forza. Uno dei grandi assoluti del Seicento europeo (al quale il Bellori dedica una delle sue fondamentali Vite), quello grazie al quale si annuncia il transito del primato artistico da Roma a Parigi (Jean-Baptiste Colbert, pupillo di Mazzarino e di Luigi XIV cui le Vite sono dedicate, è un acceso mecenate e sostenitore di Bellori) al punto che il Louvre è letteralmente farcito delle sue opere, si ritrova con il nome italianizzato a spanne come allora avveniva spesso (Bellori fa diventare Louro il Louvre e traduce anche il latino Raphael in Rafaelle, per dire), ma in un modo che oggi sarebbe anacronistico sino all’incomprensibile e, appunto, ridicolo.

Oltretutto, così la notizia in gran parte si perde. Se ritrovano un Poussin sparito da un’ottantina d’anni, anche il redattore più distratto sa che è una notizia importante, secondo il principio basic per cui «questo l’ho già sentito nominare», e magari almeno un neurone lo attiva. Ma se per pigrizia wikipediante gli dicono che è un Niccolò Pussino, uno che mai s’è udito e oltretutto suona bizzarramente parodistico, riprende il comunicato così com’è e riduce la notizia a una brevissima di cronaca.

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