Flaminio Gualdoni
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Va bene. Si capisce che i ribaltoni politici sono sempre forieri di straniamento. A questo giro qui, poi, in cui hanno riguardato due città così importanti e così diverse come Torino e Roma, a qualcuno son pure affiorate crisi non mascherate d’identità.
Quanto agli assessori alla Cultura direi che possiamo stare, a occhio e croce, tranquilli. Succede più o meno sempre così. Un candidato sindaco deve metter giù un programma, e quando arriva alla voce «Cultura» sa che se la può cavare con un pistolotto generico e se si vince ci si pensa dopo. In ogni caso è uno di quegli Assessorati il cui bilancio è talmente magro che non si vede e il cui peso politico è leggero: e poi nelle inevitabili trattative correntizie e tra piccoli potentati, tipiche anche dei partiti in cui tutti proclamano che non ci sono, è la casella perfetta per far tornare qualche conto. Dunque, vai di accenti accorati e magnifiche sorti, di «potenziale economico» del «binomio cultura/turismo» o di salvaguardia dei sacri valori e poi si vede. Ai tempi della Prima Repubblica dicevano che era la poltrona dei fessi, poi arrivò Renato Nicolini a Roma e divenne ambita, ora son qui tutti a sproloquiare di managerialità e fundraising, di «ascolto» e di prospettive inedite, ma per far cosa non si sa bene.
Un candidato sindaco che dica che per la Cultura vorrebbe fare così e cosà, e che quindi serve un assessore con caratteristiche e competenze così e cosà, io mica l’ho mai visto. Prima si vince e poi si cerca in giro, anche un po’ a casaccio, tra tecnici e paratecnici, dal momento che non si sa bene che cosa si vuol fare. L’essenziale è che: a) non rompa troppo le scatole chiedendo più soldi a bilancio; b) non pretenda di intestarsi chissà quale protagonismo politico. Del resto, quella che il vecchio Licini chiamava la «mediocrazia artistica italiana» è sempre molto fertile, i casi non mancano.
Un giorno mi piacerebbe che un candidato sindaco dicesse chiaramente che la politica culturale è una cosa fondamentale e dunque serve un profilo politico vero, uno che non stia lì parcheggiato in attesa di incarichi maggiori. Ma mi sa che aspetterò invano.
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