Nelle cantine del Pushkin 120 italiani dispersi in Russia

Marco Riccòmini |  | Mosca

Una nuvola copre il sole, e all’improvviso è notte. La luce dura poche ore in Russia a quest’epoca dell’anno. Ma è con la fine dell’estate che, quasi in sordina, il Museo Pushkin ha tirato fuori dalle cantine 120 «nuovi» quadri italiani, da una Crocifissione del riminese Giovanni Baronzio fino a due testine del conte Pietro Antonio Rotari.

La novità è che nessuno sapeva che fossero a Mosca, e Mosca ha sempre negato di averli. Trafugati a Berlino a guerra appena finita nei primi mesi di occupazione sovietica, le macerie ancora fumanti, parapiglia e confusione, questi giunsero in Russia senza altra indicazione che quella del numero del treno e del vagone su cui avevano viaggiato. Per decenni storici dell’arte del secolo scorso, gingillandosi con vecchi bianchi e nero delle fototeche di Berenson e Longhi, si sono lambiccati per capire che fine avessero fatto, se distrutti dalle bombe oppure scomparsi chissà
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