Nel Teatro dell’Architettura il codice genetico della fotografia
Nelle sale progettate da Mario Botta 50 opere realizzate da Konrad, Linke e Princen, in periodi diversi e con approcci e scopi eterogenei, acquisiscono nuovi significati

Dal 7 aprile al 22 ottobre una mostra site-specific nel Teatro dell’architettura Mendrisio esplora i rapporti tra fotografia e architettura, fra spazio rappresentato e spazio espositivo, stimolando una riflessione sui livelli di lettura e di utilizzo del medium fotografico. «What Mad Pursuit. Aglaia Konrad, Armin Linke, Bas Princen», promossa dall’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana e curata da Francesco Zanot, propone una selezione di circa 50 opere realizzate dai tre autori in periodi diversi e con approcci e scopi eterogenei, che, dialogando fra loro e con le sale progettate da Mario Botta, acquisiscono nuovi significati.
Se Konrad (Salisburgo, 1960) nella serie «Shaping Stones» combina architetture note e anonime, antiche e moderne, in un bianco e nero che confonde le categorie fino ad annullarle, Princen (Zeeland, 1975), attraverso le stampe su carta di riso che ritraggono oggetti e fotografie, ci interroga sui concetti di rappresentazione e di autonomia delle immagini, che invece, nel lavoro di Linke (Milano, 1966), vengono estrapolate dall’archivio e rimescolate per creare narrazioni inedite che esulano dai contesti originari.
Tutto in mostra suggerisce dunque la natura complessa della fotografia, che non registra solo la realtà ma innesca reazioni e combinazioni fra l’interno e l’esterno dell’inquadratura. Il titolo, preso in prestito dal saggio di Francis Crick, premio Nobel per gli studi sulla struttura del Dna, rimanda all’idea di scambio ed interferenza come fattori di arricchimento.