Musealia Americana | Frick Collection

Viaggio negli Stati Uniti alla scoperta di musei poco noti in Italia. Manhattan, New York

Una veduta della Living Hall nella Frick Collection a New York
Thomas Clement Salomon |  | New York

Se a New York si è in cerca di una sfarzosa atmosfera europea, bisogna recarsi alla Frick Collection. Nell'elegantissima Upper East Side, sul Museum Mile, all'angolo tra la Fifth Avenue e la 70th Street, si trova la residenza di uno dei più importanti collezionisti statunitensi di tutti i tempi, il magnate del carbone e dell'acciaio Henry Clay Frick. Appassionato collezionista d'arte, la sua raccolta di dipinti europei è tra le più sensazionali d'America.

Nato a West Overton, in Pennsylvania, Frick sin da giovane creò un impero economico. Cinico e risoluto nel portare avanti gli affari, fu al centro di fatti cronaca legati a scioperi e proteste dei suoi dipendenti. Nel 1892 fu anche vittima di un attentato. L'anarchico Alexander Berkman entrò nel suo ufficio e armato di pistola e di un punteruolo attentò alla vita dell'imprenditore che però, nonostante i proiettili e i fendenti infertigli a una gamba, si salvò grazie all'intervento di un collega.

La residenza del magnate venne progettata dallo studio architettonico Carrère and Hastings e venne edificata a partire dal 1913 con un costo di 5 milioni di dollari. Gli architetti pensarono gli spazi in funzione della collezione d'arte di Frick e, sin dai primi schizzi, tennero conto dell'intenzione del magnate di donarla al pubblico. Come previsto alla sua morte, nel 1919, il tycoon donò la sua collezione e dispose che la sua residenza newyorkese divenisse un museo aperto al pubblico «per incoraggiare e sviluppare lo studio delle arti». Oltre a disegni, sculture, porcellane e al mobilio, Frick lasciò all'istituzione più di 130 dipinti dei più importanti artisti europei. A essi se ne aggiunsero successivamente un'altra cinquantina in seguito a donazioni, lasciti e acquisizioni.

Dotato di un ingente fondo che Frick lasciò per la sua gestione, il museo aprì al pubblico nel 1935. Le sedici gallerie permanenti sono allestite con riguardo al periodo e all'origine geografica delle opere nel rispetto del gusto e dei criteri con cui Frick dispose i suoi capolavori prima di donarli al pubblico.

All'interno del percorso espositivo, un susseguirsi di sale, uniche nel loro genere, trasportano il visitatore in luoghi e periodi storici differenti. Nella Fragonard Room, tra mobili francesi del Settecento e porcellane di Sèvres è esposto il celebre ciclo sul «Progresso dell'Amore» dipinto tra il 1771 e il 1772 da Jean Honoré Fragonard per Madame du Barry.

Nella sala successiva, la Living Hall, due importanti tele di Tiziano, il «Ritratto di Pietro Aretino» e il «Ritratto d'uomo con cappello rosso» vegliano, ai suoi lati, su di uno dei più importanti dipinti italiani oggi in America: il «San Francesco nel deserto» di Giovanni Bellini. Quasi simmetricamente, sulla parete opposta, due dipinti di Hans Holbein, i ritratti di «Thomas Cromwell» e di«Sir Thomas More», affiancano una delle versioni del «San Gerolamo» di El Greco.

Particolarmente impressionante, la ricchissima West Gallery ospita decine di dipinti, tra i quali il «Ritratto di Ludovico Capponi» di Agnolo Bronzino, il «Ritratto di Frans Snyders» di Van Dyck, le due allegorie di Paolo Veronese rappresentanti «La Saggezza» e «La Forza» e «La Scelta tra la Virtù e il Vizio». Straordinari anche i tre dipinti di Rembrandt: «Ritratto di Nicolaes Ruts», «Cavaliere polacco» e «Autoritratto» del 1658. In questa sala è esposta anche «Padrona e domestica» di Johannes Vermeer, uno dei tre dipinti del maestro olandese che appartengono alla Frick Collection, nonché l'ultima opera acquistata da Henry Clay Frick.

Esposto al centro della Oval Room, si può ammirare il dipinto prediletto dal magnate americano, il «Ritratto del re Filippo IV di Spagna», dipinto da Velázquez nel 1644. Nelle altre sale si possono ammirare dipinti di Cimabue, Claude Lorrain, Edgar Degas, Thomas Gainsborough, Goya, Ingres, Hans Memling e Piero della Francesca, solo per citarne alcuni.

Secondo Xavier F. Salomon, Deputy Director e Chief Curator dell'istituzione americana (nonché vecchia conoscenza dello scrivente), «a un secolo dalla morte di Frick i tempi sono maturi per un restauro e un'espansione del museo. Tra poco inizieranno i lavori per la realizzazione del progetto dello studio Selldorf Architects che permetterà di aprire al pubblico il primo piano del museo, oggi destinato all'amministrazione. Si procederà poi all'integrazione della biblioteca, tra le più ricche degli Stati Uniti, con gli spazi espositivi. Per rendere la collezione fruibile durante i lavori di espansione, la Frick ha stilato un accordo per esporre le opere negli spazi progettati da Marcel Breuer su Madison Avenue che hanno ospitato le collezioni del Whitney Museum of American Art e poi le iniziative del Met Breuer».

Secondo Salomon, il paradigma della Frick «consiste nella qualità della sua collezione, composta prevalentemente da capolavori. Le acquisizioni di nuove opere, le mostre e le pubblicazioni devono attenersi a un elevato standard qualitativo che l'istituzione mantiene e conferma con il passare degli anni».

Le ultime iniziative espositive del museo statunitense hanno guardato molto all'Italia. Basti pensare alla mostra su Giovan Battista Moroni, o alle mostre su Tiepolo a Milano e Bertoldo di Giovanni. Particolarmente apprezzata è stata la retrospettiva di Luigi Valadier, magistralmente curata dal massimo esperto mondiale dell'artista, Alvar González-Palacios.

L'incantevole peculiarità della Frick Collection consiste nel poter ammirare capolavori della pittura europea tra boiserie lignee, mobili francesi e camini in pietra. Le tele affiorano da preziosi tessuti in velluto in una calda atmosfera europea che a New York si può trovare solo qui. Una tale ambientazione consente una contemplazione intima delle opere, presupposto essenziale per la loro comprensione e per rimanerne stimolati. D'altronde, concordando con il monito di Georges-Henri Rivière «il successo di un museo non si misura dal numero di visitatori che riceve, ma dal numero di visitatori a cui ha insegnato qualcosa».

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