Musealia Americana | Detroit Institute of Arts

Viaggio negli Stati Uniti alla scoperta di musei poco noti in Italia. Detroit, Michigan

Otto Dix, «Autoritratto» (particolare), Detroit, Detroit Institute of Arts, Dono di Robert H. Tannahill
Thomas Clement Salomon |  | Detroit

«Triumphs and Laments» è il titolo di una celebre opera realizzata da William Kentridge nel 2016 a Roma. Un simile appellativo potrebbe descrivere le vicende della città di Detroit dai primi del Novecento a oggi. La metropoli del Michigan ha infatti vissuto la prima metà del secolo quale capitale mondiale dell'industria automobilistica. Le ricchezze derivanti dal mercato dell’auto non hanno però ridotto le disuguaglianze sociali. La città è stata teatro di scontri razziali, crisi del mercato petrolifero, sanguinosi eventi legati alla Sommossa di Detroit del 1967, fino ad arrivare al luglio del 2013 quando venne dichiarata fallita: in seguito alla bancarotta, vi è stato chi ha proposto di vendere i capolavori del Museo della metropoli per ripianare il debito.

Parallelamente a tali rovesciamenti di fortuna, la città ha visto nascere, crescere e affermarsi una delle più prestigiose istituzioni museali degli Stati Uniti: il Dia, acronimo di Detroit Institute of Arts che oggi espone in 100 sale parte delle 65mila opere delle sue collezioni. Circa 5mila tra dipinti, sculture e altri oggetti datati dal 1660 a oggi compongono le collezioni di arte americana. In una città con l'80% della popolazione afro-americana è molto apprezzata anche la collezione di arte africana: 2.700 manufatti in legno, metallo, terracotta e pietra tra i quali costumi, utensili e strumenti musicali appartenenti a un centinaio di culture diverse.

La collezione di arte europea è caratterizzata da una ricca sezione dedicata alla scultura e alle arti decorative. Circa 7mila opere testimoniano quattordici secoli di produzione artistica, dal V al XVIII secolo. Tra di esse vi è un peculiare busto bronzeo di papa Clemente IX Rospigliosi realizzato da Girolamo Lucenti, secondo alcuni su disegno di Gian Lorenzo Bernini. Di grande rilevanza è anche la collezione di dipinti del Vecchio Continente con tele del Seicento, tra cui opere di Orazio e Artemisia Gentileschi, Dirck Van Baburen, Velázquez e Caravaggio.

In una mostra tenutasi nel Palazzo Ducale di Genova nel 2015 è stata esposta una selezione di dipinti moderni del Dia, una delle raccolte più importanti d'America che vanta opere iconiche come l'«Autoritratto» di Otto Dix del 1912 in cui l'allora ventunenne artista tedesco si autoritrae come un antico maestro, con in mano un garofano, ispirandosi ad Albrecht Dürer. Celebri anche gli autoritratti di Vincent Van Gogh del 1887, primo dipinto del pittore olandese a entrare in una collezione pubblica statunitense, e di Paul Gauguin, in cui l'artista parigino si è raffigurato pensieroso dinanzi a uno schizzo di Eugène Delacroix.

Valgono da soli la visita gli spettacolari dipinti murali realizzati da Diego Rivera tra il 1932 e il 1933 nella corte interna. Noto come «Detroit Industry Murales», il ciclo venne commissionato all'artista messicano dall'allora direttore del museo Wilhelm Valentiner e finanziato in parte da Edsel Ford, figlio di Henry Ford, fondatore della casa automobilistica.

L'opera raffigura l'ostico lavoro degli operai nelle catene di montaggio della Ford Motor Company. All'interno della complessa composizione Rivera ha rappresentato anche il progresso in alcuni campi scientifici quali la medicina e la tecnologia. L'artista era profondamente affascinato dalla modernità dell'industria statunitense e trascorse diverso tempo all'interno degli stabilimenti produttivi, facendo schizzi e scattando fotografie finalizzati all'elaborazione della composizione.

In un periodo in cui la depressione economica stava minando la fiducia del popolo americano nel progresso tecnologico, la scelta di Rivera suscitò diverse polemiche e venne tacciata di essere propaganda marxista. Rivera portò a termine il ciclo in soli 8 mesi, con sedute di lavoro di 15 ore al giorno. Non mancarono le polemiche da parte dei suoi assistenti che si lamentarono di essere sottopagati. Nella Detroit dei primi anni Trenta anche un capolavoro pittorico veniva realizzato con una sorta di catena di montaggio.

I dipinti di Rivera denunciavano il fatto che le macchine stavano limitando l'abilità dell'uomo e che l'uomo stesso era indotto a produrre in modo meccanico, con risvolti critici da un punto di vista etico per la classe operaia. Come Michelangelo negli affreschi della Cappella Sistina ha raffigurato le infinite istanze dell'uomo nell'ambito della religione cristiana, così Rivera ha immortalato quello stesso uomo, quattro secoli dopo, alle prese con la nuova religione chiamata capitalismo.

Nel 2000, quale servizio alla comunità di Detroit, il museo ha istituito un dipartimento dedicato specificamente alla produzione degli artisti afroamericani denominato General Motors Center For African American Art. Oggi è ricco di oltre 600 opere tra dipinti, incisioni, sculture e fotografie e rappresenta un'importante testimonianza identitaria e di coscienza sociale richiamando al Dia visitatori della comunità locale e diffondendo la conoscenza del contributo che gli artisti afroamericani hanno apportato alla produzione artistica statunitense.

Iniziative del genere risultano particolarmente apprezzabili di questi tempi in cui, in seguito all'uccisione di George Floyd, molteplici manifestazioni hanno infiammato le città americane. Andrebbero vigorosamente promosse analoghe proposte che riconoscono nell'arte il veicolo attraverso il quale affermare la pari dignità sociale. In questo percorso il Detroit Institute of Arts è tra le istituzioni che illuminano la strada verso una reale inclusività, affermando in modo eloquente l'uguaglianza di tutti i cittadini.

MUSEALIA AMERICANA
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