Muse di Trento: si temeva la cattedrale nel deserto, ora è un museo che «chiacchiera» con 500mila visitatori l’anno
Il direttore Michele Lanzinger ripercorre i primi 10 anni di un progetto museale che è anche punto di riferimento per la ricerca scientifica. Una «macchina culturale» proiettata al futuro

Un investimento che ha superato le più rosee aspettative. Così il direttore Michele Lanzinger sintetizza il bilancio dei primi dieci anni di vita del Muse, il Museo delle Scienze di Trento realizzato nell’ambito di un ampio progetto sviluppato sull’area industriale Michelin dismessa dagli anni ‘90: la progettazione firmata da Renzo Piano ha riguardato, oltre al Muse, sviluppato intorno al «Big Void», il grande vuoto trasparente, il quartiere che prende il nome dal vicino Palazzo delle Albere con un parco urbano, un’area edificata a terziario, commerciale e abitativo e la Buc - Biblioteca centrale dell’Università di Trento.
«Lo studio di fattibilità che ha anticipato la decisione di realizzare il progetto museale prevedeva al massimo 180/200mila visitatori, spiega Lanzinger. Invece, fatto salvo il periodo pandemico, il Muse ha registrato costantemente 500mila visitatori all’anno, dei quali più del 60% proviene dalle regioni limitrofe». Ente pubblico finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento, il Muse si autofinanzia con orgoglio al 50% grazie a biglietti di ingresso, parcheggio, ristorante e shop, mentre altri importanti contributi vengono dai finanziamenti europei per la ricerca scientifica e da quelli del partenariato con le imprese e di privati che condividono la filosofia del museo, parliamo di qualche milione di euro all’anno.
Il successo in termini di pubblico e l’indotto creato hanno spazzato il timore dell’effetto «cattedrale nel deserto» che aleggiava sul progetto ai suoi albori. «Ma, ricorda ancora Lanzinger, gli aspetti che ci rendono più orgogliosi sono i risultati in termini di attività educative, gli eventi per i diversi pubblici con grande attenzione all’accessibilità e gli spazi di “invenzione culturale” attivati con i cittadini. L’esperienza di visita, facilitata dalla dimensione aperta e luminosa dell’edificio di Renzo Piano, porta a “esplorare” gli spazi espositivi mentre i visitatori, grazie alla speciale scenografia, mettono in rapporto i messaggi del museo con il proprio vissuto. Un vero “museo chiacchierone”».
Lanzinger, nel suo ruolo di presidente del comitato italiano dell’Icom-International Council of Museums sottolinea un ulteriore obiettivo raggiunto. «Con uno staff cresciuto dalle 30 unità iniziali a oltre 220 addetti, con alta percentuale di laureati, il Muse è anche un importante istituto di ricerca naturalistica che dialoga sui temi quali la conservazione della natura e della biodiversità con una rilevantissima rete di relazioni internazionali». E questo, in un Paese come l’Italia, dove le discipline scientifiche non sono in testa alle priorità, ha un certo rilievo.
«Alla Provincia autonoma di Trento, aggiunge, va riconosciuto il merito di aver creduto in questo progetto in cui la dimensione più tradizionale della conservazione ed esposizione dei reperti naturalistici è stata affiancata all’idea di realizzare una macchina culturale proiettata verso il futuro, laboratorio di anticipazione delle scelte necessarie per affrontare le grandi sfide che oggi si chiamano Agenda 2030 dell’Onu, crisi climatica, sviluppo equo e sostenibile».
Grande festa quindi per il decennale sabato 22 luglio, con ingresso libero al Muse e all’adiacente sede del Palazzo delle Albere: dalle 16 visite guidate e iniziative per le famiglie, dalle 20.30 i talk show tra giornalisti scientifici, attivisti ambientali e ricercatori sui grandi temi della transizione ambientale, e ancora teatro, film e videomapping sulle grandi vele del Muse, infine musica fino a notte inoltrata (il programma qui).