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Modello impantanato

Silvia Mazza

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C’è dell’«anti tempismo» storico nella recente riorganizzazione del Dipartimento dei Beni culturali siciliani, quella che introduce 13 nuovi poli museali (cfr. n. 358, nov. ’15, p. 12). Entrata in vigore dal primo luglio scorso, riesce, infatti, a travisare il significato e ruolo della Soprintendenza unica proprio nel momento in cui quest’organizzazione amministrativa, introdotta a livello normativo in Sicilia nel lontano 1977 (entrando a regime 10 anni dopo), viene presa a modello dalla riforma Franceschini.

La Soprintendenza unica su base territoriale, organizzata in una équipe con competenze multidisciplinari, non può, infatti, garantire efficacemente lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, rispetto alle vecchie Soprintendenze tematiche, se non mantenendo distinti gli ambiti settoriali. Tant’è che nello Stato all’interno dell’istituto riformato sono previste 7 aree funzionali: organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca.

In Sicilia, invece, si è deciso di accorpare alcuni ambiti settoriali, per cui i beni architettonici fanno coppia con quelli storico artistici e quelli paesaggistici con quelli demoetnoantropologici. È vero che nell’intero Dipartimento Bbcc c’erano da sforbiciare 90 postazioni dirigenziali, ma per questo obiettivo si può ammettere che siano sacrificate competenze specifiche per ogni ambito? Che le specializzazioni non siano un fattore così discriminante lo dimostra un caso eclatante: la Soprintendenza di Caltanissetta, l’unica a non avere più in organico neppure un archeologo.

Non solo. Mentre il nuovo corso del Mibact ha dotato di autonomia gestionale e finanziaria i grandi musei statali e i primi parchi archeologici, proprio la Regione che aveva previsto quest’autonomia nel 2000 con la Legge Granata (quella che ha istituito il Parco della Valle dei Templi di Agrigento) non coglie l’occasione per dare piena attuazione a quella stessa legge che prevedeva anche l’istituzione dei parchi archeologici autonomi in Sicilia. Malgrado i siti archeologici raccolgano «oltre l’80% del flusso complessivo di visitatori registrato dai 122 siti regionali», come ci diceva l’ex assessore Antonino Purpura. Eppure anche l’aumento, nei  primi tre mesi di quest’anno, del 36% delle visite proprio alla Valle dei Templi avrebbe dovuto segnalare che la strada virtuosa è proprio quella dell’autonomia.

Insomma, il «modello siciliano» (cfr. n. 361, feb. ’16, p. 9) si realizza al di là dello Stretto, mentre nella Regione autonoma, che lo ha partorito ben 40 anni fa e innovato 16 anni fa, finisce per essere incompreso e indebolito (nelle nuove Soprintendenze) e disatteso (nei parchi archeologici).

Silvia Mazza, 05 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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Modello impantanato | Silvia Mazza

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