Meno regia, più magia: l’arte è degli artisti

Il Padiglione Italia, dice Cecilia Alemani a Franco Fanelli, è ispirato dai riti arcaici e dalle nuove mitologie. La curatrice rimprovera l’eccesso di documentarismo di certa arte contemporanea e l’«invadenza creativa» di molti suoi colleghi

Franco Fanelli |  | Venezia

La vastità del Padiglione Italia alle Tese delle Vergini, nel complesso dell’Arsenale, non ha spaventato la curatrice Cecilia Alemani, mai sfiorata dalla tentazione di affrontarlo con una mostra collettiva numericamente rilevante. Se suo marito, Massimiliano Gioni, aveva puntato sull’enciclopedismo curatoriale quando curò la mostra centrale della Biennale di Venezia nel 2013, lei, operando in un altro contesto, ha lavorato focalizzando un tema attraverso tre soli artisti, Roberto Cuoghi, Giorgio Andreotta Calò e Adelita Husni-Bey.

Una scelta, del resto, in linea con i principali padiglioni nazionali e in controtendenza non solo rispetto ai 200 e più artisti voluti da Vittorio Sgarbi nel 2011, ma anche ai suoi più immediati predecessori, Bartolomeo Pietromarchi nel 2013 e Vincenzo Trione nel 2015. Ma le differenze non sono soltanto numeriche. Cecilia Alemani incarna alla perfezione la nuova
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