Martini aveva già in testa Fontana

La retrospettiva al Museo Bailo abbina alle sculture i meno noti dipinti e rivela il progressivo avvicinarsi dell’artista veneto a sorprendenti soluzioni rivolte verso l’astrazione

«Tobiolo» (1933), di Arturo Martini
Camilla Bertoni |  | Treviso

Una trilogia dedicata alla scultura dei genii loci, ma di respiro internazionale, iniziata con Canova nel maggio scorso, passata per Antonio Carlini (fino al 5 marzo) e che si avvia alla conclusione con l’allievo più geniale di Carlini: Arturo Martini (Treviso, 1889-Milano, 1947). A lui è dedicata la grande monografica «I capolavori» che il Museo Bailo presenta dal 31 marzo al 30 luglio, a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa.

I due Leoni di Monterosso in bronzo aprono scenograficamente un percorso cronologico a partire dai grandi bronzi della collezione Ottolengh di Acqui Terme (Al). La metà circa delle opere esposte sono di proprietà del Bailo, il museo che ha all’attivo lo scorso anno la conclusione di una lunga serie di interventi di restauro, le altre sono prestiti da collezioni pubbliche e private italiane e internazionali che consentono inusuali e sorprendenti confronti, forieri di nuove letture dell’opera dello scultore trevigiano.

Questo «per superare lo stereotipo di un artista al servizio del regime, spiega Malachin, direttore dei Musei Civici della città, mostrando come sia stato alla continua ricerca di nuove soluzioni. Una grande mostra su Arturo Martini mancava da decenni a Treviso e se ne sentiva il bisogno: a parte alcune mostre tematiche o limitate a determinati periodi, o la mostra del centenario del 1989, concentrata sugli anni giovanili, l’ultima monografica si tenne infatti nel 1967 a cura di Giuseppe Mazzotti. Con questa esposizione siamo riusciti non solo a mettere insieme i grandi capolavori, ma a offrire una visione completa della sua opera con molti inediti, dando spazio a tutti i generi e i materiali indagati dall’artista, maioliche, terrecotte, incisioni, così come nuova attenzione al Martini pittore. Una quarantina di dipinti costituiscono infatti un tema conduttore accanto alle opere in marmo in una corrispondenza di soggetti, come accade per esempio alla tela con “Le lavandaie” posta accanto al gesso della “Sposa felice”».

La mostra offre opere importanti come il «Legionario ferito» o altre viste raramente, come il bronzo preparatorio di «Donna che nuota sott’acqua», al centro di una sala multimediale sulle cui pareti scorrono le immagini del film che la ispirò, «Ombre bianche» (White Shadows in the South Seas), diretto nel 1928 da W.S. Van Dyke. Il marmo della stessa opera viene invece mostrato nell’ambito della riproposizione della sala della Biennale di Venezia in cui apparve nel 1942.

Attraverso opere poco note, come il «Sacro Cuore», da sempre nella sua Casa Museo a Vado Ligure, si procederà per confronti, tra versioni diverse di uno stesso tema o con il bozzetto: il «Tobiolo seduto mentre stringe tra le mani un pesce» affiancato al bozzetto della collezione di Herta Wedekind Ottolenghi e al più tardo «Tobiolo Giaquinto» che testimonia le nuove ricerche spaziali della seconda metà degli anni ’30, il «Bevitore disteso» accanto alla terracotta del «Bevitore in piedi», «La Pisana o Il sonno» assieme alla «Donna al sole» e «Donna sulla sabbia», il bozzetto del «Tito Livio» accanto al grande gesso dell’opera.

Il percorso consente ai curatori di sviluppare la loro tesi: «A partire dai presupposti giovanili della sua arte, conclude Malachin, si giunge a esiti inattesi, trovando in Martini anticipazioni di quanto farà Fontana con i suoi tagli. Ne è prova la scultura “Atmosfera di una testa”, proveniente dal Museo del Paesaggio di Pallanza: tagliata in verticale, l’opera rappresenta l’anello di congiunzione tra il figurativo e l’astratto, portando la scultura verso soluzioni coraggiose che raccontiamo attraverso un percorso sorprendente, in cui trovano posto anche documentari inediti, come avrebbe voluto Martini stesso».

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