Marmi del Partenone: tra qualche anno Londra non avrà più scelta
Secondo la studiosa greca di diritto internazionale Catharine Titi è giusto reclamare i marmi ma senza andare per via legali: mancano documenti ufficiali che ne attestino l’eventuale vendita o donazione

Nella lunga contesa con Londra sulla restituzione dei Marmi del Partenone, conservati al British Museum dal 1817 e che la Grecia reclama da duecento anni il diritto internazionale darebbe ragione ad Atene. È la tesi avanzata da Catharine Titi, giurista greca e ricercatrice al Cnrs/Université Paris-Panthéon-Assas di Parigi, nel suo saggio The Parthenon Marbles and International Law, pubblicato da Springer (330 pp., ill. col., € 171,19), con una prefazione di Andrew Wallace-Hadrill, docente all’Università di Cambridge e membro del Comitato britannico per la riunificazione dei marmi del Partenone.
Titi ha condotto un’ampia ricerca d’archivio e ha concluso che, diversamente da quanto sostiene Londra, il trasferimento nel Regno Unito dei marmi tra il 1801 e il 1804 da parte di Lord Elgin, ambasciatore britannico a Costantinopoli, è stato illegale: «Non ci sono prove di una transizione giuridica valida. Né ricevute né documenti ufficiali che attestino un’eventuale vendita o un dono da parte del Governo di Atene, spiega Titi. Londra ha a lungo avanzato l’esistenza di un firmano, un decreto ottomano firmato dal sultano che avrebbe autorizzato Elgin a ritirare i marmi, ma dell’originale non c’è traccia e se ne conosce solo una traduzione italiana mai autenticata. Dalla corrispondenza tra Elgin e i suoi collaboratori ad Atene emerge invece che il Governo ottomano autorizzò Londra a effettuare scavi sull’Acropoli e a prelevare i marmi rinvenuti al suolo. Invece gli uomini di Elgin montarono dei ponteggi e rimossero le sculture direttamente dal Partenone».
Nel libro viene riprodotta una lettera del luglio 1811 di Lord Robert Adair, ambasciatore britannico a Istanbul, a Elgin, in cui il diplomatico gli diceva che l’Impero ottomano non gli aveva riconosciuto alcun diritto di proprietà sui marmi. Titi non esclude neanche che Elgin abbia corrotto degli alti dignitari ottomani: «La Commissione del Parlamento britannico che portò avanti le sue indagini nel 1816 cita in un documento la parola corruzione. I marmi potrebbero essere stati ceduti dal sultano a Elgin in cambio dell’appoggio degli inglesi per liberare l’Egitto dai francesi e proteggere i propri interessi. Tutti questi documenti sono nelle mani degli inglesi sin dall’inizio».
In conclusione sarebbe «giuridicamente possibile» per Atene reclamare i marmi, ma Titi non consiglia di ricorrere alla via legale: «È bene che il Governo di Atene si appoggi all’argomento giuridico, anche minacciando il ricorso alla Corte internazionale di giustizia, ma la via migliore resta negoziare con il Governo britannico. La mentalità sta cambiando e i casi di restituzione dei beni culturali saccheggiati nelle ex colonie o sottratti agli ebrei sono in aumento».
Un precedente importante per Titi è il caso della restituzione dell’Italia alla Libia della «Venere di Cirene», una scultura marmorea acefala di Afrodite, rinvenuta nel 1913 dall’esercito italiano in territorio libico durante il conflitto con la Turchia. Dopo una lunga procedura e vari ricorsi, le sentenze del Tar del Lazio e del Consiglio di Stato nel 2008 hanno permesso il rientro a Tripoli della statua. Nel caso dei marmi di Elgin dei passi sono stati compiuti di recente. Nel 2021 la Commissione intergovernativa dell’Unesco per la restituzione dei beni culturali ha votato per la prima volta all’unanimità il rimpatrio delle sculture. Una decisione più impegnativa di una semplice raccomandazione, che Londra ovviamente ha respinto.
Nel 2022 con il gesto pioniere del Museo Archeologico Antonino Salinas di Palermo e della Regione Sicilia, è tornato ad Atene il cosiddetto «Reperto Fagan». Lo scorso marzo il Vaticano a sua volta ha trasferito in Grecia tre frammenti del Partenone che erano conservati ai Musei Vaticani. «Un Paese come l’Italia a cui tanti reperti sono stati trafugati ha interesse ad appoggiare la causa di Atene. Anche l’India, che reclama il diamante Koh-i-noor che appartiene ai gioielli della corona d’Inghilterra, si è espressa a favore di Atene. L’opinione pubblica evolve e con essa anche il diritto». A gennaio il British Museum ha confermato di aver aperto «discussioni costruttive» con il Governo greco: «Sono scettica su questi negoziati, spiega la ricercatrice. Il British ha parlato di prestito in cambio di altre antichità come garanzia. Non è serio. Non credo che il Regno Unito sia ancora pronto, ma tra qualche anno la pressione su Londra per i marmi sarà tale che non avrà altra scelta e dovrà restituirli. Un cambio di Governo nel Regno Unito, con l’arrivo dei Labour al potere, potrebbe risultare determinante
