Ma vandalizzare è antiecologico

Fioccano le condanne per chi imbratta le opere d’arte. Ha cominciato una giudice di Westminster, che ha condannato due attivisti che si erano incollati a un Van Gogh della Courtauld

«Alberi di pesco in fiore» (1889) di Vincent van Gogh, Londra, Courtauld Gallery. © Courtauld Gallery
Flaminio Gualdoni |

Finalmente i tribunali cominciano a fare i tribunali e a condannare quelli che, in nome dell’ecologia, trattano musei e opere come cose sulle quali intervenire in modi, per così dire, poco urbani. Ha cominciato una giudice di Westminster, che ha condannato due attivisti di «Just Stop Oil» perché alla Courtauld si erano incollati al dipinto «Alberi di pesco in fiore» di Vincent van Gogh danneggiandone irreparabilmente la cornice antica.

La presa di posizione è importante. Il fatto di vandalizzare opere notevoli è diventato ormai una routine stantia, nel gioco dell’ecologismo. E se la prendevano con i musei perché la prima linea di difesa lì erano i custodi, giustamente imbelli, e non la polizia con i manganelli. Avevano tentato anche di bloccare per protesta delle arterie stradali molto trafficate, ma lì avevano preso mazzate dagli stessi automobilisti incazzati.

Vuoi mettere il clima felpato del museo? Vuoi mettere la photo opportunity per cui qualsiasi giornale non poteva tacere la notizia di un’azione contro Van Gogh o Botticelli? Era, alla fine, il caso di dire che si poteva fare «molto rumore per nulla» e poi tornarsene liberi in tempo per l’ora dell’aperitivo. Credo che nessuno, tra questi imbecilli sognanti, abbia mai riflettuto sul fatto che si colpiva un anello debole della società e della cultura, l’arte, per piegarlo ai propri fini.

Ti chiami «Just Stop Oil» ma ti guardi bene dall’andare a sfruculiare la sede di una società petrolifera o la sede del Ministero per l’Energia. Lì menano per davvero, qui non rischi una cippa, un po’ come i bulletti che se la prendono con i compagni di scuola più gracili e indifesi. Non è che puoi atteggiarti a eroe: sei il solito borghesuccio «sin cojones», e ne meni pure vanto, pensa te. Ora, metti che a uno come me, e per fortuna a molti altri, stia più a cuore la salute dei dipinti importanti e consideri i musei, nonostante adesso li riempiano di troppe distrazioni, come luoghi sacri della cultura.

Non mi piace che quella sacralità finisca, per citare il grande Charles de Brosses, «al cacatojo», implicata in tutt’altre faccende, degne d’attenzione ma comunque prosaiche. Peraltro non mi piace che i neo-post-rivoluzionari da apericena che girano adesso facciano queste fesserie e mi chiedano pure di essere solidale. Se proprio devo solidarizzare, il mio consenso va alla giudice Neeta Minhas di Westminster che ha ribadito: «Il dipinto ha un valore significativo, storico e artistico e considero il danno notevole: non è minore, insignificante, temporaneo o banale».

E postillerei, in più, che anche se non fosse stato un Van Gogh il fatto stesso di stare appeso sui muri di un museo gli garantisce un’intangibilità ben superiore a qualsiasi ragione che un deficiente di buone intenzioni possa accampare. Nella graduatoria dei tipi umani, questi attivisti di «Just Stop Oil» stanno molti gradini più in basso dei custodi di museo che almeno, loro, Van Gogh lo maneggiano solo con i guanti.

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