Ma l’arte si può insegnare a distanza?

Accademie e Conservatori alle prese con le autostrade (o carrettiere?) digitali

Accademia Albertina di Torino. foto di Fabio Amerio
Antonio Bisaccia |

«Distanza», in questo periodo di emergenza sanitaria, è diventato un termine-totem, un vocabolo-dispositivo, una parola-arma, un concetto-soluzione, un lemma antisociale, una parabola salvifica. I vocabolari, in fondo, sono, come diceva Giorgio Manganelli, cimiteri di parole. Ma queste hanno la grazia di supportare il peso di un ragionamento e si prestano a risolvere i rebus che la vita mette a disposizione come dote di ciascuno. Se immaginiamo due punti, secondo i vocabolari, la lunghezza del tratto di linea retta che li congiunge definisce la distanza. Seguendo questa indicazione, la distanza è qualcosa che, paradossalmente, unisce, essendo la misura del percorso tra due estremi. La nostra azione consiste allora nel percorrere questa lunghezza o trovare suoi escamotages sostitutivi. Il «distare» indica la necessità di mettere in atto una separazione, ovvero «essere disgiunto da un dato termine per qualsivoglia spazio».

Didattica al bit
La sicurezza ha guidato le istituzioni facenti parte dell’Afam (Alta Formazione Artistica e Musicale, in cui rientrano Accademie di Belle Arti, Conservatori e Isia (Istituti superiori per le industrie artistiche), Accademia di danza e Accademia d’arte drammatica) a costruire dal nulla il primo lungo miglio della didattica a distanza. Un florilegio di piattaforme, più o meno basiche, sono state messe a disposizione degli studenti. I docenti (artisti, musicisti, intellettuali, etc.) si sono cimentati con strumenti informatici che sono diventati il modo di colmare proprio la distanza ineludibile di cui sopra, viaggiando sulle autostrade digitali o, meglio, sulle carrettiere digitali nazionali.

Hanno accorciato le distanze da lontano, seppur dietro mille peripezie tecniche, doppi salti mortali di didattica al bit, prese al trapezio di giga affaticati, salite vertiginose su pertiche di pensiero artistico ribelle, e altre pratiche di magia binaria: il tutto condito da abbuffate di algoritmi di ogni genere. Senza parlare poi del digital divide e delle sue infinite variabili: dalle oggettive condizioni economiche delle famiglie, all’insufficienza delle infrastrutture digitali, alla tipologia di territorio geografico.

Per il digital divide economico le istituzioni dell’Afam possono, adesso, aiutare gli studenti grazie a quanto previsto nel “decreto rilancio”, che mai come adesso sembra ricordare il gioco del poker, con le insidie dell’imponderabile. Tale decreto ha disposto che 62 milioni di euro possono essere spesi da Afam e Università (oltre ai 50 milioni previsti nel decreto di marzo) per l’acquisto di device per la didattica, per i problemi di connessione alla rete e per l’ampliamento delle infrastrutture digitali dedicate, in questo caso, al sapere artistico in senso lato.

Questo aiuterà a ripensare la didattica tout court, con un sistema che il Ministro Manfredi auspica essere un mix perfetto tra didattica a distanza e didattica in presenza. E consentirà alle istituzioni dell’Afam di poter approfondire anche il mondo dei MOOC (i cosiddetti Massive Open Online Courses), sviluppando questa tipologia di offerta formativa che nell’area della formazione terziaria è di altissimo livello (si pensi, ad esempio, alla piattaforma Federica Web Learning).

Materia e contatto
Ma è possibile insegnare e imparare arte a distanza? Forse prima bisognerebbe rispondere al quesito che è alla base di ogni ragionamento sulla didattica dell’arte tout-court: è possibile insegnare o imparare l’arte? L’arte è diversa da altre forme del sapere?

Sono domande gigantesche. «Arte è quando la mano, la testa, e il cuore dell’uomo vanno insieme». Se siamo d’accordo con John Ruskin, possiamo dire che si può certamente almeno insegnare ad allineare mano, testa e cuore. Se questo avviene siamo a metà del guado.

Le scuole appartenti all’Afam, in ogni caso, non hanno mai preso in considerazione la didattica a distanza per via del loro caratteristico dna. Il cuore didattico di queste istituzioni è costituito, oltre che dalle discipline di taglio teorico-scientifico, anche da laboratori in cui la materia viene plasmata, rigenerata, riusata e dove il “contatto” è parte costitutiva della materia stessa e il «rapporto fisico» ne è un corollario.

Pensiamo, ad esempio, all’impossibilità (o comunque difficoltà estrema) dei Conservatori che, per molte discipline, prevedono aggregazioni di studenti: le musiche d’insieme archi/fiati, la musica da camera, le attività corali/orchestrali. O pensiamo alle tecniche della recitazione, educazione alla voce, danza, mimo, regia teatrale, regia lirica, regia cinematografica, discipline erogate all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio d’Amico, oltre le tecniche dell'improvvisazione, tecniche del training fisico, tecniche del training vocale, etc.

Tutte discipline che non possono in alcun modo essere pensate se non in presenza di docenti e allievi. Succede lo stesso nelle Accademie (si pensi, ad esempio, a scultura, tecniche della scultura, plastica ornamentale, incisione, pittura, scenografia, tecniche del marmo e delle pietre dure, tecniche di ripresa, direzione della fotografia, etc.) e negli Isia (laboratori di design, modellistica, modellazione 3d, etc.).

Medesima situazione per le discipline del corso quinquennale di restauro con valore abilitante che deve garantire, ai sensi del D.M. 26 maggio 2009, n. 87, una qualità minima dell’insegnamento corrispondente almeno a una percentuale dell’80%, relativamente alle attività didattiche che devono essere esercitate su «manufatti qualificabili come beni culturali». E che tali attività tecnico-didattiche di conservazione e restauro vanno «svolte in laboratorio e in cantiere su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici», quindi in presenza.

Come ritornare senza rischiare
Si è di fronte a una gigantesca aporia. Le Afam hanno la necessità di riaprire i laboratori, ma devono ottemperare, in modo scrupoloso, alla sicurezza rispetto al Covid-19.

E’ solo la sicurezza l’elemento in grado di garantire – per il futuro – la continuità e la vita stessa dei laboratori. Ma la sicurezza prevede laboratori più che semivuoti. E sono solo i laboratori che sono in grado di non distruggere le peculiarità dell’Afam. Un problema di difficile soluzione. E’ necessario affrontare le situazioni difficili con soluzioni inedite. Per permettere ad Accademie di belle arti, Conservatori, Isia, Accademia di danza e Accademia d’arte drammatica di non svilire, sminuire e diluire il loro corpus di discipline laboratoriali bisogna rivoluzionare, almeno fino alla fine dell’emergenza, l’organizzazione di queste istituzioni.

Si tratta di riposizionare l’approccio fisico della didattica all’interno degli spazi, investendo in rimodulazione delle strutture e, soprattutto, in riorganizzazioni delle presenze degli studenti.

Tutto questo ha un costo che in parte è previsto nelle misure fin qui adottate dal governo e in parte no. Mentre, infatti, sarà coperta la parte delle azioni tecniche da mettere in atto (sanificazioni, acquisizione dei vari dispositivi della sicurezza personali, dei termoscanner per accedere alle istituzioni, etc.), non esiste invece alcuna misura per il necessario e ormai vitale ampliamento dell’organico (cosi come fatto, invece, nel decreto rilancio, ad esempio, per le scuole con 16.000 docenti in più, o per l’Università con circa 4.000 ricercatori in più). Organico fermo da un quarto di secolo, quando invece le istituzioni Afam hanno triplicato le iscrizioni, con una grande capacità di attrazione dell’utenza internazionale, e ampliato a dismisura l’offerta formativa.

E questo è ancor più esiziale se pensiamo alla ripresa in sicurezza dei laboratori. Saranno necessarie turnazioni plurime e molto segmentate la cui sostenibilità e funzionalità è legata alla presenza della docenza. Poiché l’organico è totalmente insufficiente a sostenere una didattica laboratoriale all’interno di aule i cui indici di affollamento saranno ridotti all’osso, si prevede che i problemi già esistenti diventeranno insostenibili, creando pericolosi cortocircuiti nell’organizzazione della didattica in presenza. E’ necessario, in fase di trasformazione del «decreto rilancio» in legge, colmare questo grave problema con un emendamento che preveda almeno 800 nuove unità. Questa sarebbe una misura minima e urgente.

Servono indicazioni chiare
Il DCPM 26/04/2020 tra le attività svolgibili non menziona comunque le “lezioni frontali” propriamente dette. E questo, al momento, non consente, ad esempio nei Conservatori, la ripresa (in sicurezza) di quelle attività didattiche classificabili come lezioni «individuali», riservate a un solo studente per volta (strumento, canto, etc.) che presuppongono all’interno dell’aula la presenza del docente e dello studente ed eventualmente quella del pianista accompagnatore. Come non consente nelle Accademie, negli Isia e nell’Accademia d’arte drammatica, le attività laboratoriali e performative che sono, insieme ai tirocini obbligatori, fondamentali e costituiscono il cardine delle attivitàdidattiche frontali.

E’ necessario formulare indicazioni chiare che consentano, all’interno di un rigoroso perimetro della sicurezza sanitaria, di ricostruire quel patto di conoscenza e produzione, in presenza, che caratterizza le attività artistiche dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, pur continuando ad erogare a distanza (almeno fino alla completa apertura delle istituzioni) tutte le altre discipline teorico-scientifiche che non necessitano di presenza immediata. Crediamo che nei prossimi giorni, su questo punto, il Ministro Manfredi licenzierà un DM apposito.

«Un cuore che cerca sente bene che qualcosa gli manca; ma un cuore che ha perduto sa di cosa è stato privato.» Le parole di Goethe testimoniano bene il senso di deprivazione che ha subìto l’Alta formazione artistica, ma, nell’incertezza virale ormai sistemica, bisogna ritrovare non solo la strada del nostos (il ritorno) ma anche quel senso di crescita in grado di accompagnarci, in modo da non disperdere quanto abbiamo fino a qui imparato: senza rimanere intrappolati tra le griglie strette del dolore che ogni ritorno che si rispetti produce dopo aver avuto esperienza della distanza.

«Cosa aspetteremo quando non avremo più bisogno di aspettare per arrivare?», si chiede Paul Virilio nel suo saggio sulla dromoscopia: visione in corsa, o velocità intesa come valore sociale che trasforma i nostri paradigmi sedimentati, in cui la distanza diventa un orizzonte accorciato.

Dove arriveremo quando non avremo più necessità di muoverci per arrivare?
Fusi al movimento stesso non ne avremo più concezione e la distanza sarà solo una parola vuota di significato.  Ma oggi c’è necessità di ricalcolare il dramma del limite della distanza e intravvedere strategie di senso che rimettano in moto anche l’Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica.

L'autore è Presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie di Belle Arti Italiane e Accademia Nazionale d’Arte Drammatica e Direttore dell’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari.

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