Luminoso de la Tour

La ricchezza dei sentimenti umani più intimi è la cifra del pittore lorenese

A sinistra il «Suonatore di ghironda con cane» di Georges de la Tour, Musée du Mont-de-Piété, Bergues; a destra «Vecchio cieco e ragazzo» (1903) di Pablo Picasso, Mosca, Museo Puskin
Sandrina Bandera |

Mi propongo di rileggere l’esposizione dedicata a Georges de la Tour, ora in corso a Milano in Palazzo Reale, rivolgendomi a un ideale compagno di visita. Nonostante il battage pubblicitario, è sicuramente molto difficile spiegare al pubblico italiano questo artista così intimamente francese, da considerarsi alla pari di Caravaggio, Velázquez e Rembrandt.

La Tour non lasciò opere in Italia e non stabilì rapporti con nessun artista o committente del nostro Paese, nemmeno a Roma, dove nel Seicento per la verità si registra una particolare apertura verso gli stranieri. Si pensi ai caravaggeschi di Utrecht e agli artisti (Leclerc, Deruet, Callot, Claude Lorrain, Mellin...) provenienti dalla Lorena, sua stessa regione, che per tradizione compivano un viaggio, soprattutto di apprendistato, in Italia.

Il suo catalogo scarsissimo, a causa di moltissime perdite, e la sedimentazione storica troppo breve,
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