Lo spirituale, Wolfgang, da Lia Rumma

L’artista tedesco fa doppietta con due mostre che aprono in contemporanea nella galleria milanese e a Villa Panza

Particolare di «City of Silence» (2015-2023) di Wolfgang Laib. Cortesia della Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli
Ada Masoero |  | Milano

Wolfgang Laib torna da Lia Rumma, dopo la mostra con Giovanni Anselmo ed Ettore Spalletti, presentata nel 2015 in occasione di Expo Milano. Questa volta però torna da assoluto protagonista e permea tutti e tre i piani della galleria della sua spiritualità, e della sua poesia. Non è un caso che il titolo della personale, «...e vidi cose che ridire né sa né può...» (dal 26 ottobre al 13 gennaio 2024; inaugurazione il 25 ottobre), sia tratto dal primo canto del «Paradiso» di Dante, metafora del percorso iniziatico che questa sorta di «monaco» devoto alla natura intraprende nel realizzare ognuna delle sue opere.

Se allora, nel salone d’ingresso, aveva composto un vasto «tappeto» formato da mucchietti conici di riso inframmezzati da piccoli recipienti indiani (lui, che è nato in Germania nel 1950 e che lì ha studiato Medicina, vive parte dell’anno nel Sud della Germania, parte in un villaggio dell’India meridionale), ora esibisce qui un’impressionante opera del 2000, «Zikkurat»: una torre a gradoni alta quattro metri, rivestita di lastre di cera, che se da un lato affonda nella storia fino alla cultura mesopotamica, dall’altro conduce a un percorso di ascesa e di ascesi spirituale.

Al piano superiore trova posto l’installazione «City of Silence» (2015-2023): 34 sculture di cera d’api che con i loro volumi compongono una sorta di città astorica e atemporale, mentre al secondo piano entra in scena la figura del patriarca del buddismo giapponese, Kōbō Daishi (secoli VIII-IX), evocato dall’immagine della sua venerata tomba a Koyasan, in Giappone.

E di fronte, a negare la morte, una delle sue piccole montagne di polline di nocciolo: un materiale di cui Laib si serve dalla fine degli anni ’70 quando, abbandonata la medicina, scelse l’arte e la spiritualità: «Se credi solo nell’individuo, dice, la vita è una tragedia che termina con la morte. Ma se sei parte di un tutto, è completamente diverso: non c’è principio e non c’è fine». E questa materia in apparenza incompatibile con la scultura, volatile, impalpabile ed effimera com’è, vale per lui perché ricolma della forza della fecondazione, e dunque della perpetuazione della vita, che ne contraddice l’apparente impermanenza.

In contemporanea, dal 26 ottobre al 25 febbraio 2024, la Villa e Collezione Panza-FAI, presenta a Varese la sua personale, «Passageway-Transito», curata dalla direttrice Anna Bernardiniuna mostra realizzata dall’artista per sottrazione, con grande rigore», ci spiega) e realizzata con Lia Rumma, che esibisce quattro installazioni, la prima delle quali «Passageway-Inside-Outside»(2011-2012) occupa lo spazio della Scuderia Grande con le sue piccole barche d’ottone appoggiate su cumuletti di riso, mentre nella Scuderia Piccola trova posto «Brahmanda», 2016-2022, un enorme «ciottolo» ovoidale di granito nero indiano, la cui materia si riconnette ai luoghi del cuore di Laib. Nelle due rimesse delle carrozze, poi, i sette disegni di «Crossing the River» (2021-2022) e l’opera inedita, di cera, «Untitled» (2023) realizzata appositamente per Villa Panza.

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