Lo sguardo sulle città di Evelyn Hofer
L’occhio empatico della fotografa americana ha ricucito le distanze tra Stati Uniti ed Europa

Che si tratti del Trinity College di Dublino, del maestoso Duomo di Firenze o di newyorkesi in preda al viavai della leggendaria 42ma strada, in oltre 50 anni di carriera l’occhio empatico della fotografa americana Evelyn Hofer (Marburg 1922-Città del Messico 2009) ha ricucito le distanze tra Stati Uniti ed Europa, immortalando i loro cittadini in maniera tanto vivida quanto profondamente umana.
In «Evelyn Hofer: Eyes on the City», la nuova retrospettiva ospitata nell’High Museum of Art di Atlanta, ci si potrà immergere nella sua coinvolgente documentazione di Washington, Londra, Parigi, Barcellona e molte altre città. Allestita fino al 13 agosto in collaborazione con il Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City, dove approderà in autunno, la mostra celebra l’unicità di Hofer e il suo utilizzo precursore della pellicola a colori.
Nata in Germania, a 11 anni si trasferisce a Ginevra con la sua famiglia per scampare al Nazismo. È in Svizzera che Hofer, allora adolescente, si avvicina alla fotografia sotto l’ala di Hans Finsler, pioniere della Nuova Oggettività. Stabilitasi a New York nel 1946, l’artista emerge come fotografa di «Harper’s Bazaar» per poi affermarsi negli anni Sessanta proprio grazie agli scatti ora raccolti in «Eyes on the City».
«Sottili e rigorose, le sue immagini possiedono un’esattezza e una sobrietà affascinanti», spiega Greg Harris, curatore del dipartimento di fotografia dell’High Museum e cocuratore della mostra. Qualità queste che, contrastando con la frenesia dei fotografi di strada del secondo dopoguerra, resero Hofer uno degli sguardi più incantevoli del secolo scorso.