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Achille Bonito Oliva
Leggi i suoi articoliLe grandi mostre di arte contemporanea assomigliano sempre più alle vacanze intelligenti. Una promessa di effetti collaterali, un’estensione polisensoriale della contemplazione estetica accompagnate da stravaganti sorprese e nuovi inciampi emotivi. La 56ma edizione della Biennale d’arte di Venezia ha realizzato un traghettamento dei sensi, il passaggio da quello tradizionale dello sguardo a quello dell’udito. Nei diversi padiglioni, dai Giardini all’Arsenale, un gran leggere di testi ad alta voce, un continuo sussurrio di parole in varie lingue da parte di artisti e attori. Insomma una Biennale per via orale. Un’interminabile giaculatoria declamata da un coro interdisciplinare di catecumeni che leggono ininterrottamente per tutta la durata della mostra Il Capitale di Karl Marx. Un libro conosciuto da tutti ma letto da pochi, come Alla ricerca del tempo perduto di Proust e l’Ulisse di Joyce. Alla fine un’edizione leggendaria, questa, della Biennale, nel senso pedissequo della parola. Dove tutti leggono. E quelli che ascoltano guardano le parole.
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