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Le tre sedi del Caravaggio di Siracusa

Silvia Mazza

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Si attende il parere dei tecnici, anche se sulla collocazione espositiva del «Seppellimento di Santa Lucia», una delle più alte espressioni dell’ultimo Caravaggio, la parola decisiva sembra, piuttosto, spettare ai tour operator.
Dovrebbe, infatti, essere l’esito del monitoraggio ambientale condotto dal Centro per il Restauro di Palermo nella chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, nel quartiere della Borgata, a stabilire se il dipinto possa tornare sull’altare maggiore per il quale fu realizzato nel 1608 dal pittore in fuga da Malta, e da dove fu rimosso nel 2011 (vi era stato riportato da appena cinque anni dalla Galleria regionale Bellomo di Siracusa, dove si trovava dal 1983), per ragioni, si disse, conservative.
In attesa del risanamento degli ambienti, venne, quindi, temporaneamente trasferito nella chiesa eponima alla Badia, a Ortigia, dove tuttora si trova, a beneficio dei pacchetti turistici degli operatori del settore, che contestano l’assenza di una rete di servizi turistici alla Borgata.
Senonché, l’anno scorso la Soprintendenza ha portato a termine il restauro del catino absidale della Basilica al Sepolcro, indirizzato, sostanzialmente, «a revocare i danni causati, ancora più che dell’umidità, dal massiccio impiego del cemento nel restauro degli anni ’80: un restauro del restauro a cemento armato», sintetizza l’architetto Aldo Spataro, dirigente dell’Unità Beni architettonici della Soprintendenza, stabilendo così le linee guida dell’intervento che dovrà essere esteso all’intero monumento.

E allora, che cosa ci si attende dal Crpr? Che verifichi la bontà dei lavori della Soprintendenza?
Spataro, inoltre, non è affatto convinto che nella attuale collocazione alla Badia (dove, peraltro, occulta la «legittima» pala d’altare, quel «Martirio di Santa Lucia» di Deodato Guinaccia, allievo dell’altro Caravaggio, Polidoro) sussistano condizioni conservative più adeguate al dipinto.

Senza dire della dubbia qualità estetica della scelta espositiva che stacca con violenza il dipinto «scuro» dalle abbacinanti scialbature estese, con perverso «horror pleni», su ogni modanatura. Non sarà, allora, forse per l’estrema resipiscenza di qualche funzionario che ci sia divieto assoluto di fotografare il quadro? Perché soltanto in tre dei dieci maggiori musei al mondo è proibito fare scatti alle opere d’arte.

In ogni caso, condizioni ambientali migliori «non vi erano neanche nel 2011 quando si decise di portarlo lì»: di questo parere è Ermanno Cacciatore, responsabile del laboratorio di Fisica del Crpr in quel 2006, allorché «si verificarono, con esito positivo, le condizioni termoigrometriche della chiesa alla Borgata in funzione del trasferimento del dipinto dal Museo Bellomo, allora in riallestimento. Di mezzo fu esposto “a cantiere aperto” a Palazzo Abatellis a Palermo, dove lo sottoponemmo a un’importante campagna diagnostica».

L’ultimo restauro risale al 1979 all’ex Icr. La movimentazione dell’opera fu occasione per riaprire il dibattito in città tra i fautori della musealizzazione e quanti ne sostenevano, invece, una ricollocazione nel luogo originario. Come, e forse anche più delle altre opere del Merisi (a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi, in Santa Maria del Popolo, in Sant’Agostino o nella Cattedrale di San Giovanni alla Valletta), la tela siracusana è, infatti, legata in modo particolare al luogo di appartenenza, non solo perché prosegue nello spazio fittizio la direzionalità della luce reale, ma perché rievoca il tema delle catacombe sottostanti la chiesa stessa. Lo capì l’allora assessore al Turismo (a cui era appena transitato dai Beni culturali) Fabio Granata, coordinatore di Green Italia, ex An.

Fu così che il quadro, di proprietà del Fondo edifici di culto (Fec), non rientrò più al museo. «L’intento, dice Granata, era di farne il volano per la rivitalizzazione del quartiere storico, nonché occasione per un serio progetto di recupero conservativo della chiesa, mentre il Crpr, dopo le accurate indagini microclimatiche, avrebbe dovuto progettare anche una teca climatizzata in acciaio e vetro antiproiettile».
Come quella già realizzata per il «Ritratto di Ignoto» di Antonello da Messina al Museo Mandralisca di Cefalù. Non se ne fece niente, nel disinteresse degli assessori che vennero dopo.

Silvia Mazza, 22 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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