Le nature morte di Margherita Caffi e dell’atelier dei Vicenzini
Un cofanetto editoriale con due volumi di Gianluca e Ulisse Bocchi, edito da Grafiche Step, condensa le ricerche di 25 anni dei due studiosi

Fra gli studi specialistici di storia dell’arte, certamente uno dei più insidiosi è quello del settore delle nature morte. Infatti quasi mai è facile, salvo che per un ristretto numero di casi, stabilire con precisione l’autore di un quadro con frutti e fiori e, spesso, nell’ambito di una stessa scuola finiscono con sembrare tutti diabolicamente uguali. Ragione per cui i veri grandi conoscitori di questo genere sono pochi, anche a livello europeo. Ed è sempre stato così. Anche perché i pittori ci mettevano del loro, spesso imitando colleghi più bravi o non firmando. Stiamo ancora tutti saltando su una piastrella nel tentativo di identificare il cosiddetto «Maestro di Hartford», autore di nature morte eccelse, spesso identificato con Caravaggio e da sempre al centro di zuffe fra storici dell’arte.
E il napoletano o romano «Maestro della natura morta Acquavella» chi è davvero? Le coltellate fra studiosi sono volate, ci sono stati morti e feriti, ma il beffardo anonimo sta ancora a deriderci sotto qualche pergolato di quell’uva pizzutella che dipingeva così bene. Se entriamo nell’ambito dei pittori lombardi di nature morte le cose non cambiano, anzi. La pittura di natura morta del Seicento fra Lombardia, Nord dell’Emilia e sbordature venete, è una giungla, fatta di fiori ma non per questo meno inestricabile e pericolosa. In questo caso però siamo fortunati perché per orientarci abbiamo la guida di Gianluca e Ulisse Bocchi, che nel corso di alcuni decenni si sono dedicati al tema della natura morta con la massima serietà e con ricche documentazioni d’archivio, dando luogo a una serie di libri, a tutt’oggi indispensabili.
L’ultima loro fatica, appena uscita in due volumi, condensa le loro ricerche di venticinque anni, ed è dedicata a Margherita Caffi e all’atelier dei Vicenzini. Un argomento da far tremare le vene e i polsi. Avete idea di che cosa sia questo nucleo di artisti e di quante opere abbia prodotto? Innanzitutto i Vicenzini sono una dinastia oltremodo prolifica. Se volete approfondire e vedere tutte le loro genealogie, dovrete leggere i due libroni dei Bocchi; nel frattempo sappiate che originano da Vincenzo Volò, francese della Franca Contea (i Bocchi lo hanno inseguito fino a ritrovarne l’atto di nascita del 1620 nella sperduta parrocchia di Dambelin) venuto a lavorare a Milano per sfuggire alle calamitose guerre che fecero scappare molti abitanti della sua regione natale.
Vincenzo dipinge aggraziate nature morte di fiori disposti in vasi, ceste o a mazzi, qualche volta collabora con grandi artisti come Baschenis e Francesco Cairo. Dopo di lui la famiglia si complica e si ramifica: appaiono le sue figlie, le «Vicenzine», tre pittrici agguerrite e brave: Francesca, Giovanna e Margherita. Quest’ultima, la più talentuosa, la conosciamo come Margherita Caffi (1647-1710) dal cognome del marito, il pittore cremonese Ludovico Caffi. Margherita fu alle corti di Spagna e di Vienna e dipinse alcune delle più belle e colorate nature morte del Seicento italiano, simili a fuochi d’artificio per l’esplosiva vitalità che le anima.
Intorno a lei ruotano altri pittori di natura morta sempre della famiglia, non facili da distinguere (ma i Bocchi ci sono riusciti benissimo). Con il primo Settecento questa stirpe si estinguerà. I volumi, doviziosamente illustrati, hanno come unico difetto di non avere un indice dei nomi, ma sono accompagnati da documenti, alberi genealogici, regesti e da una vasta e articolata bibliografia. Grazie per i fiori e per le conoscenze che ci hanno regalato.