La visita dell’arte sarà completamente diversa

Intervista a Giovanna Barni, presidente di CoopCulture e di CulTurMedia

Giovanna Barni
Guglielmo Gigliotti |

Giovanna Barni è presidente di CoopCulture. Senese di nascita, filosofa di formazione, romana d’adozione, cofondò la cooperativa specializzata in servizi aggiuntivi nel 1990. Essa ora opera in musei, monumenti e siti archeologici di tutta Italia, occupandosi di accoglienza, biglietterie, visite guidate e organizzazione di eventi. Dal febbraio 2019 Giovanna Barni è anche presidente nazionale di CulTurMedia, il settore della Lega delle cooperative che comprende gli operatori della cultura, del turismo e della comunicazione. Gli effetti del Covid-19 obbligano ora a nuove pratiche e visioni.

Qual è il contraccolpo della crisi per CoopCulture?

Come può immaginare è un contraccolpo durissimo. Siamo colpiti tre volte: dapprima con la chiusura dei luoghi della cultura e quindi il lockdown di quasi tutte le attività; anche dopo le riaperture le nuove disposizioni di distanziamento sociale costituiranno per noi un ulteriore danno perché tutte le attività sociali saranno interdette. A ciò si aggiunge la crisi del turismo che ci vede in primissima linea assieme ad albergatori e operatori turistici. Ci vorranno anni affinché si giunga a un turismo, seppur lento e di prossimità, che riattivi la macchina dell’accoglienza museale in termini di sostenibilità economica.

Quanti sono i soci, gli operatori e i collaboratori che in tutta Italia restano senza lavoro e introiti?

CoopCulture negli ultimi anni dà mediamente lavoro a 2mila persone fra soci, dipendenti e collaboratori. Nelle primissime fasi della crisi il nostro primo pensiero è andato subito alla tutela del lavoro: a inizio emergenza abbiamo tempestivamente messo in campo tutte le azioni necessarie per garantire a tutti soci e dipendenti la copertura prevista dal FIS (Fondo d’integrazione salariale, Ndr). Abbiamo avanzato la richiesta di proposte e tutele sui tavoli ministeriali, abbiamo anche adottato un piano per tutelare l’azienda in modo che possa fronteggiare i contraccolpi della crisi e provare, seppure gradualmente, a rialzarsi.

Si possono fare previsioni sul calo di fatturato di CoopCulture?

Il fatturato è crollato e le previsioni non sono affatto rosee, si ipotizza un crollo di oltre il 70% nelle concessioni museali. Nella nostra storia aziendale abbiamo fatto fronte a delle crisi, come quella del 2010 e quella derivante dall’emergenza rifiuti del 2013 in Campania. In entrambi i casi lo abbiamo fatto senza aiuti pubblici, con operazioni di fusione, ristrutturazione e innovazione che sono state anche in grado di salvaguardare i livelli occupazionali, soprattutto al Sud. Se ne parla poco ed è un peccato che siano sempre e solo oggetto di attenzione, non sempre benevola, le fasi più recenti di andamento positivo e non i momenti difficili e la capacità che abbiamo avuto di superarli in totale autonomia.

Quali sono le prime risposte che state mettendo in campo?

Prima della chiusura dei luoghi della cultura CoopCulture stava già lavorando al potenziamento della propria trasformazione digitale integrando in un’unica piattaforma diverse funzioni avanzate, dalle vendite a distanza alla creazione di contenuti culturali scaricabili. A crisi in atto siamo stati tra i primi a reagire creando ad hoc Culture at home, un sito con esperienze digitali mirate a diverse tipologie di pubblico, naturalmente gratuite, allo scopo di tenere vivo il contatto con i tantissimi nostri utenti fidelizzati, specie scuole e famiglie. C’è giustamente un tema legato alla gratuità dei media digitali, ma le soluzioni tecnologiche saranno anche i supporti che ci stanno aiutando per ripensare accesso e fruizione ai luoghi della cultura nella ripartenza, ad esempio riconvertendo sistemi utilizzati sino a ieri per il contingentamento dell’overtourism in strumenti da impiegare per la sicurezza dei percorsi di visita. Anche l’attenzione della cooperativa negli ultimi anni alla valorizzazione di borghi, territori e itinerari, ci consentirà di rispondere alla domanda interna con esperienze più personalizzate e autentiche, anche in linea con il nuovo trend di staycation (la vacanza in cui si rimane in casa, Ndr).

Siete soddisfatti delle risposte che vengono dal Governo e dal Mibact, o manca qualcosa?

Il Governo ha agito bene e in fretta in una situazione rapidamente diventata drammatica. Ma la gravità dei danni al settore e la loro durata nel tempo è stata almeno inizialmente sottovalutata. In questo momento ci preoccupa soprattutto il piano delle riaperture che non può prescindere da un ascolto serio dei soggetti gestori, tanto più necessario visto che nella task force capitanata da Colao non c’è nessun soggetto specializzato. Per il «dopo epidemia» una ricetta unica, per quanto innovativa e necessaria, non potrà valere per l’intero comparto, occorrerà predisporre sin d’ora un mix integrato e ragionato di misure che miri anche a rigenerare il sistema culturale con basi più solide e modelli sostenibili. È vero che subito si rende necessario più che altro un sostegno pubblico al settore, soprattutto per tutelare un capitale umano indispensabile per il Paese, basti pensare a quanto tutte le espressioni culturali in questi giorni difficili stiano rendendo più sopportabile l’isolamento, ma questo non può offrire fondamento all’idea, che mi pare serpeggi, di ritorno a un settore culturale completamente gestito dal pubblico. Oggi più che mai occorre il contributo del privato in termini di creatività e capacità di innovazione utili a rigenerare il settore, mentre da parte pubblica si rende necessario un ruolo di regia e programmazione di lungo periodo ancora più incisivo, destinando ad esempio le risorse pubbliche a quei soggetti, pubblici o privati che siano, in grado di incidere sullo sviluppo dei territori, sull’inclusione sociale, sull’acquisizione di nuovi pubblici, e in generale sull’immagine del Paese.

Lo Stato dovrà fare qualcosa per voi. Cosa farete voi per lo Stato?

La crescita di CoopCulture negli anni si è sempre accompagnata al raggiungimento di risultati di interesse generale: nuova occupazione qualificata, crescita di nuovi supporti di visita, ingaggio di nuovi pubblici, opportunità di sviluppo di un’ampia filiera nei contesti territoriali e produzione di ricchezza per lo Stato, impatti che abbiamo misurato sin dal 2015 con il Rapporto di Sostenibilità annuale. A ciò si aggiunga che l’essere cooperativa è garanzia di un presidio nazionale, non scalabile, su un asset, quello della cultura, fondamentale per il Paese, e di legalità in un settore in cui, specie nel Sud, c’è ancora molta economia sommersa.

La sfida di CoopCulture è sempre stata quella di coniugare patrimonio culturale e sviluppo economico: nel momento in cui il secondo termine è in stand by, è lecito secondo lei prospettare, al momento della riapertura, una fruizione del patrimonio culturale senza grandi performance economiche?

Quando tutto finalmente ripartirà, e siamo già prossimi alla cosiddetta «Fase 2», il nostro settore pagherà un’onda negativa lunghissima. Noi abbiamo sempre guardato a una sostenibilità che fosse insieme economica, culturale, sociale. Si tratta di elementi che devono stare insieme e trovare un loro equilibrio. E, voglio dirlo, anche quando il settore ha registrato le migliori performance economiche, le imprese e i lavoratori hanno sempre avuto un riconoscimento molto più basso di altri settori. Ora dovremo trovare una nuova sostenibilità, e dovremo farlo in stretto rapporto tra pubblico e privato, cercando non solo i «numeri» della sostenibilità economica ma mettendo in evidenza quelli della sostenibilità culturale. Un modello non più basato tutto sui grandi attrattori ma su un’esperienza più intensa e culturalmente più coinvolgente.

La competitività tra imprese culturali impegnate nei servizi aggiuntivi crescerà o diluirà? Non è possibile prevedere, se non alleanze, fruttuose convergenze?

È un terreno tutto da studiare, credo che la coopetition, tipicamente cooperativa, potrà essere un valore aggiunto ai nuovi equilibri, spostando il fuoco dalla competizione alla collaborazione, che dovrà essere la cifra dell’economia del nostro settore. Sarebbe auspicabile anche la trasformazione del rapporto con le realtà pubbliche: nell’ambito dei servizi culturali più che il classico schema competitivo di gare di affidamento dei servizi, bisognerà guardare a nuovi modelli di partenariato tra pubblico e privato. Questo richiederà probabilmente un modello più collaborativo non solo tra pubblico e privato al fine di condividere strategie territoriali comuni, ma anche probabilmente tra gli stessi privati e il terzo settore. Considerando anche l’enorme porzione di patrimonio culturale italiano, anche naturale, ancora sottoutilizzato, penso che ci sia spazio per tutti, ciascuno nel rispetto della propria mission.

Le chiedo, in qualità di presidente di CulTurMedia: come stanno reagendo e che cosa propongono le altre cooperative e relativi 23mila lavoratori della sezione cultura, turismo e comunicazione, della Lega delle cooperative?

«La cooperazione non si ferma» è il claim delle cooperative aderenti a Legacoop, e come CulTurMedia, siamo nel bel mezzo della tempesta. Ma vogliamo reagire, forti della nostra resilienza, passione e capacità di fare sistema. Per questo lavoriamo sempre di più ormai come Alleanza delle Cooperative, nella convinzione che il futuro non potrà che essere sempre più cooperativo, che occorrerà superare la frammentazione, e che mettersi in gioco sarà fonte di rigenerazione e consolidamento. Naturalmente se ci saranno le condizioni per sopravvivere. Una delle vie percorribili potrebbe essere l’istituzione di aree a intenso potenziale di sviluppo culturale: zero rischi e zero burocrazia, con garanzia di sicurezza, sostenibilità ambientale, apertura a modelli partecipati pubblico-privato di governance e gestione del patrimonio culturale, agevolando imprese e istituzioni locali a reinventare congiuntamente e in modo cooperativo l’offerta turistico-culturale per poter assicurare nuove esperienze, nuove economie di scala e di rete. Più che un sostegno economico serve un quadro articolato di riferimento che parta dal superamento di vincoli e oneri che hanno finora spesso impedito alla filiera di moltiplicare il proprio valore.

Nel 2018 il fatturato delle cooperative di CulTurMedia era di quasi 1 miliardo, oggi si rischia lo zero?

Si rischia un fortissimo calo, anche qui non meno del 70% tra tutti i settori: visite d’istruzione cancellate, programmazione di spettacoli ed eventi annullati nel periodo più denso dell’anno, chiusure di musei, aree archeologiche e biblioteche e tutte le ricadute a cascata sul mondo dell’editoria e del turismo. La ripartenza sarà assai complessa. Bisogna aver chiaro che si tratta di una filiera fortemente interconnessa e invece si continuano a trattare i singoli settori separatamente. Si tratta infatti di una filiera lunga con forti collegamenti sia al proprio interno, tra la valorizzazione dei luoghi della cultura e le produzioni culturali, sia all’esterno con il turismo, le produzioni locali, la mobilità e l’industria della creatività. Ed è la potenza di queste interconnessioni e il capitale umano invisibile che sta dietro a queste filiere che costituisce anche il grande vantaggio competitivo del nostro Paese: da questa consapevolezza potrebbe prendere le mosse un nuovo Rinascimento.

Tra le pieghe di questo dramma possono nascondersi opportunità di cambiamento positivo?

«Per non temere il futuro occorre immaginarlo» recitava il Manifesto Legacoop del 2018. Ancora non sapevamo cosa ci sarebbe aspettato solo due anni dopo. Occorre immaginarlo adesso. Dovremo costruire un’economia diversa, in cui le persone, il loro benessere, la salute e l’incolumità del pianeta, vengano prima dell’interesse individuale. Questa crisi può trasformarsi nell’opportunità di creare una realtà più solida e finalmente più coesa. Io ne sono convinta, stiamo riscoprendo tante cose dimenticate. Nuovi valori devono essere preponderanti nel nostro nuovo stile di vita e di fare impresa post Covid-19.

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