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Una delle prime opere di William Klein: «Diamanti in movimento», 1953, nella sezione «Astrazioni»,

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Una delle prime opere di William Klein: «Diamanti in movimento», 1953, nella sezione «Astrazioni»,

La visione di Klein

Una rassegna al Palazzo della Ragione di Milano copre l'intero arco della carriera del fotografo newyorkese

Chiara Coronelli

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Milano. «Compra un obiettivo diverso, un grandangolo, e lo prova subito, fuori dal negozio. Le prime immagini di New York nascono così, da un cambio di lente e di prospettiva». Così Alessandra Mauro, curatrice di «William Klein. Il mondo a modo suo», la mostra da poco inaugurata al Palazzo della Ragione di Milano (fino all'11 settembre), condensa uno snodo fondamentale della visione di Klein, sempre in anticipo sui tempi, e destinata a raggiungere generazioni di fotografi.
Pittore scrittore grafico e cineasta, oltre che fotografo, nato a New York nel 1928 da una famiglia di ebrei ungheresi, William Klein nella sua lunga carriera passa attraverso una molteplicità di linguaggi artistici senza mai venir meno a «una sincerità di sentimenti, come suggerisce David Campany nel testo pubblicato nel catalogo Contrasto GAmm Giunti, che non consegue ritirandosi dal mondo per raggiungere la fredda distanza, ma tuffandosi in esso». Un tuffo sempre iperbolico, privo di centro, in bilico e ravvicinato, in un attrito quasi fisico con la realtà. Tanto che, rientrato a New York nel 1954, decide di montare un grandangolo al posto di un 50mm, sulla Leica comprata a Parigi da Henri Cartier-Bresson in persona, durante gli anni trascorsi in Europa, dove era sbarcato a diciott’anni dopo essersi arruolato nell’esercito. Comincia a guardare la sua città con occhi diversi, capisce che per raccontarne lo spirito deve, appunto, cambiare lente. Scatta oltre duecento immagini e compone uno dei volumi più incisivi della storia della fotografia, pubblicandolo a Parigi con le Editions du Seuil, grazie al coraggio di Chris Marker. La sequenza delle immagini, la sperimentazione sull’impaginato, il lettering, le doppie al vivo, il mosso e lo sfocato, l’apertura grandangolare per «prendere il più possibile nell’inquadratura», il dinamismo incontenibile, e il fiuto per ciò che è essenziale, si traducono in pagine che cambiano per sempre il modo di progettare i libri fotografici, e dove confluiscono le ricerche precedenti mentre si annunciano le opere cinematografiche che stanno per seguire (dal debutto con «Brodway by Light» a «Qui êtes-vous, Polly Maggoo?», da «Mr. Freedom» a «Loin du Vietman», e poi ancora «Grand soirs et petits matins», «Muhammad Alì the Greatest», «Le couple temoin», fino a «The Little Richard Story» e «Messiah»). «La mia parola d’ordine realizzando “New York”, dice, era anything goes. Mi va ancora bene, persino oggi. Niente regole, niente divieti, niente limiti».

E questo senso radicale di libertà, motore di una curiosità tanto intelligente quanto vorace, si legge bene attraverso la rassegna milanese che, suddivisa in sezioni, copre l’intero percorso della sua arte. Si parte dagli astrattismi d’esordio, quelli che arrivano dagli studi con Fernand Léger, tra la pittura hard-edge e le opere realizzate proprio a Milano, dove lavora con architetti come Marco Zanuso e Giò Ponti; per proseguire con le immagini di New York e quelle dei successivi city books, da Roma, Mosca, Tokyo, fino a Parigi. Si arriva al capitolo «Moda», con i servizi realizzati per le strade, con le modelle mescolate alla folla che guarda stupita; e poi ai «Contatti dipinti», provini che riprende in mano negli anni Ottanta per ingrandirli e poi sovrapporvi forti segni grafici. Si conclude con i «Film», una proiezione di trenta minuti in cui scorrono gli estratti dei titoli più importanti che ha firmato.

All’inaugurazione William Klein si aggirava tra le sale della sua mostra rispondendo alle domande del pubblico, del tutto a suo agio nonostante le difficoltà dell’età, e con l’entusiasmo di chi ha vissuto davvero, e non si è perso niente che gli stesse a cuore. Ancora curioso di guardare attraverso un mirino, con l’obiettivo puntato a fotografare il pubblico che stava fotografando lui.

Una delle prime opere di William Klein: «Diamanti in movimento», 1953, nella sezione «Astrazioni»,

«Quattro teste, Giorno del Ringraziamento, Broadway and 33rd, New York 1954: uno scatto della sezione «New York»

William Klein, Locandina cinematografica, Tokyo, 1961: uno scatto della sezione «Tokyo»

William Klein, Custode, Cinecittà, Roma 1956: uno scatto della sezione «Roma»

William Klein, Le Petit Magot, 11 novembre, Parigi 1968: uno scatto della sezione «Parigi»

William Klein, Stazione ferroviaria di Kiev, Mosca 1959: uno scatto della sezione «Mosca»

William Klein, Gub 1, 1955, dipinto 1999, dalla sezione «Contatti dipinti»

William Klein fotografa i fotografi all'inaugurazione della sua mostra milanese. Foto di Chiara Coronelli

William Klein all'inaugurazione della sua mostra a Palazzo della Ragione a Milano

Chiara Coronelli, 21 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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La visione di Klein | Chiara Coronelli

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