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La tradizione e il rinnovamento che voleva Peggy

Lidia Panzeri

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Un testimonial d’eccezione ha reso solenne il passaggio di consegne il 10 giugno da Philip Rylands, al museo per ben 37 anni (cfr. n. 371, gen. ’17, p. 32), a Karole P.B. Vail alla direzione della Collezione Peggy Guggenheim. Richard Armstrong, direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation di New York, è volato a Venezia per ringraziare il primo e tessere le lodi di curatrice e saggista della seconda, membro dello staff del Guggenheim dal 1997. In proposito ha ricordato la sua ultima fatica, la retrospettiva «Moholy-Nagy» (2016) che ha riscosso unanimi consensi di critica e pubblico, e il futuro impegno, nel 2018, per la rassegna dedicata ad Alberto Giacometti.

Per la Vail si tratta di un ritorno alle esperienze della sua infanzia a Venezia, di cui ricorda gli itinerari tra i canali sulla gondola della nonna (l’ultima rimasta ad averne una privata) che si fermava davanti a un museo o a una chiesa. Peggy la stimolava a entrarci chiedendole poi il rendiconto delle opere contenute. «È in questo modo che ho conosciuto i capolavori di Tintoretto, di Tiziano e di Giorgione», annota.

Un incubo, invece, dormire nella stanza dov’erano appesi i quadri surrealisti di Ernst, Magritte e Delvaux. «Sento tutta la responsabilità di questo mio nuovo incarico che intendo svolgere nello spirito e nell’eredità di Peggy, tenendo conto che ormai siamo entrati nel XXI secolo», ha poi dichiarato. Aggiungendo che «in questo mondo sempre più frantumato i musei offrono una possibilità di dialogo e rappresentano un’oasi di serenità». A margine della conferenza stampa ci ha rilasciato un’intervista.

Dottoressa Vail, da quando era bambina la collezione si è molto trasformata.
Ha cambiato la sua identità da casa privata a realtà museale, uno dei musei d’arte del Novecento più importanti in Europa, che deve adeguarsi a standard professionali ormai imprescindibili. Peggy avrebbe apprezzato una gestione professionale e certo non aveva intenzione di fare della sua casa un mausoleo.

Il Guggenheim di New York si caratterizza come museo dell’arte non oggettiva; la collezione veneziana per il Surrealismo e per l’Action painting.
Ma include anche Picasso e Braque. Per quanto riguarda il Solomon R. Guggenheim, la sua direttrice artistica Hilla Rebay aveva selezionate anche altre opere di tendenza diversa, ma poi ritenne che negli anni Trenta-Quaranta il filone più rappresentativo dell’epoca fosse l’arte non oggettiva. Hilla Rebay e Peggy Guggenheim sono state e rimangono i pilastri fondanti dei due musei. E tra loro, nessuna rivalità.

Lei parla di apertura al XXI secolo. Che cosa intende? Peggy sapeva scoprire nuovi talenti. È il caso di Tancredi, di cui si è appena conclusa una retrospettiva.
Bisogna mantenere l’identità del museo che è quella di un museo di arte moderna. Piuttosto il suo compito è quello di riscoprire e rivalutare artisti rimasti nell’ombra, come nel caso della monografica di Rita Kernn-Larsen, chiusa il 26 giugno.

Lidia Panzeri, 07 luglio 2017 | © Riproduzione riservata

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