La Schirn Kunsthalle nega l’arte dell’orrore

In mostra le strategie di sopravvivenza e azione di 14 artisti che tra 1933 e 1945 non vollero piegarsi al III Reich

«Soldato morente (giovane soldato sul fronte di battaglia)» (1943 ca) di Jeanne Mammen © Jeanne-Mammen-Stiftung im Stadtmuseum Berlin / VG Bild-Kunst, Bonn 2021 Foto di Oliver Ziebe, Berlino
Francesca Petretto |  | Francoforte sul Meno

1933-1945: il più iniquo intervallo di tempo della storia del XX secolo e uno dei più bui di quella universale.

Sembra fare un’offesa ai milioni di vittime causati dal nazifascismo e dalla Seconda guerra mondiale, dall’avvento al potere di Hitler alla fine della battaglia di Berlino, affiancare il termine arte agli orrori perpetratisi entro queste due date, nei campi di sterminio e sui fronti di battaglia: come può esserci arte laddove imperversa l’orrore?

E infatti ce ne fu poca in senso letterale: tra il 1933 e il 1945 il regime nazista condannò alla morte, alla fuga o alla dimenticanza gli artisti perseguitati per motivi razziali, religiosi, politici, fisici e quant’altro; ma che cosa ne fu di coloro che non collaborarono e che, mal tollerati, rimasero?

Esercitarono un’arte per nessuno: è questo, «Kunst für keinen», ovvero «Arte per nessuno. 1933-1945» (dal 4 febbraio al 6 giugno) il titolo della mostra che la Schirn Kunsthalle dedica alle diverse strategie di sopravvivenza e possibilità d’azione utilizzate da coloro che, pur rimanendo nei territori del III Reich, non cercarono e non vollero alcun possibile legame con il regime.

Sono 140 lavori di 14 nomi esemplari: Willi Baumeister, Otto Dix, Hans Grundig, Lea Grundig, Werner Heldt, Hannah Höch, Marta Hoepffner, Karl Hofer, Edmund Kesting, Jeanne Mammen, Ernst Wilhelm Nay, Franz Radziwill, Hans Uhlmann e Fritz Winter.

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