La prima mostra blockbuster della storia

Dopo cent’anni ricostruita a Ca’ Pesaro la rassegna che avviò la riscoperta dell’arte veneziana dell’800

Particolare di «Matilde Pirovano Visconti» (1840 ca, olio su tela) di Francesco Hayez. Collezione Privata
Camilla Bertoni |  | Venezia

Un grande lavoro di ricerca che significa riallacciarsi al fil rouge che corre lungo la storia fondante del museo. È quanto sta all’origine della mostra «Il ritratto veneziano dell’Ottocento», a cura di Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo, allestita dal 21 ottobre al primo aprile 2024 al secondo piano della Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. «La mostra ricostruisce il percorso che nel 1923 fu proposto a cura di Nino Barbantini, primo direttore del museo, spiega Barisoni. Ancora oggi è considerata una rassegna di capitale importanza per la riscoperta dell’arte veneziana di un intero secolo, per l’avvio della conoscenza dei suoi protagonisti e la valorizzazione di molti dei capolavori che vi furono esposti».

Non è stato facile recuperare i 240 capolavori dei più rappresentativi artisti veneziani dell’Ottocento, una cinquantina, che apparivano in quella mostra, ma a Ca’ Pesaro contano proprio sul riscontro di questa esposizione per arrivare a individuare le collocazioni attuali del nucleo di opere che ancora non sono state reperite: tante confluirono in raccolte pubbliche, altre in collezioni private. «La riproposizione di quella mostra di cento anni fa avviene in maniera molto esaustiva anche se non esattamente filologica: si è resa necessaria infatti una ricomposizione sulla base degli studi che in questi cento anni hanno comportato riscoperte, riattribuzioni e ricollocazioni, prosegue la curatrice e responsabile del museo. Le tesi di fondo non si discostano però da quelle di allora e il percorso, come allora, si svolge in maniera cronologica, a partire dalla fine del ’700 con Hayez, Teodoro Matteini e l’influsso neoclassico, per arrivare a Favretto attraverso artisti come Michelangelo Grigoletti o Ludovico Lipparini, a cui viene dedicato un ampio spazio monografico e a cui sono state attribuite nuove opere».

La mostra ebbe un successo di pubblico e ampio riscontro sulla stampa e si avvaleva di una forma moderna di marketing cultu-rale, con promozioni ferroviarie legate al biglietto del museo, manifesti e cartoline. «Ne usciva e ne esce l’immagine del XIX secolo di grande ricerca e intensità, spiega ancora Barisoni. Viene ricostruito oggi anche il mondo di relazioni intorno a cui ruotavano artisti e committenza, toccando le città di Treviso, Bassano, Padova, Belluno, Udine e Trieste. Ma il nodo centrale è proprio l’omaggio a Barbantini come “padre” di questo museo e alla sua visione, quando sospese l’attività critica per dedicarsi alle retrospettive. La sua lezione storico artistica permane nelle collezioni e la sua voce risuona nelle sale di Ca’ Pesaro. Se vogliamo questa fu una delle prime mostre “blockbuster” della storia:le mostre monografiche non erano affatto scontate allora e Barbantini inaugurava con questa una nuova e precoce linea critica. Seguirono la mostra sul ’700 del 1928 e poi quella dedicata a Tintoretto e Tiziano, prima che Barbantini si ritirasse a causa dell’ostracismo esercitato dall’amministrazione fascista verso di lui».

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