La passione del Settecento per la moda d’Oltralpe
Chi erano le due dame che indossavano gli abiti, in eccezionale stato di conservazione, donati a Palazzo Morando e ora lì in mostra? La loro identità è l’ultimo mistero nascosto nelle pieghe della seta

A dispetto degli approfonditi studi condotti da quando l’associazione Amichae li ha donati a Palazzo Morando-Costume Moda Immagine, indagini che hanno svelato i molti segreti custoditi tra le loro sete, nessuno ancora sa, esattamente, a chi appartenessero i tre preziosi abiti femminili dell’Età dei Lumi intorno ai quali Enrica Morini e Margherita Rosina, con Ilaria De Palma, conservatrice del museo, hanno costruito la mostra «Settecento!» (aperta fino al 29 maggio, affiancata da un libro edito da Silvana Editoriale).
Sappiamo solo che erano due dame di generazioni diverse (la maggiore, di corporatura più tozza; snella la più giovane: forse madre e figlia? Suocera e nuora?), esponenti di una famiglia della migliore società di Castiglione delle Stiviere, entrambe molto attente alle mode d’Oltralpe.
Ciò che ha sbalordito Margherita Rosina quando li ha visti nella casa della loro lontana erede Luisa Barberini, oltre all’indiscutibile bellezza, era lo stato di conservazione: perfetto, come se non fossero mai stati indossati, e quindi privi anche dei rifacimenti che spesso alterano gli abiti antichi giunti sino a noi. E, per di più, custoditi con devozione dalle generazioni successive.
Il primo è una «robe à la française» (in Italia, «andrienne») del 1770 ca, di lucente seta verde ornata da minuscole decorazioni di passamaneria, ed è formato da una sopravveste e una mezza sottana pieghettata; gli altri due, della signora più giovane e sottile (dal gusto aggiornato al nuovo, meno elaborato, stile «all’inglese»), furono realizzati tra il 1775 e il 1780 e sono entrambi di colore amaranto.
Curioso e raro il completo formato da tre pezzi di lampasso di seta broccato a motivi vegetali, che all’ampia gonna permetteva di accostare, secondo l’occasione, un corpetto-busto con stecche di balena e maniche lunghe oppure un vezzoso giacchino con baschina (o caraco). Il terzo indumento donato è un corpetto-busto con pettorina, privo della gonna, confezionato con un tessuto a motivi geometrici prodotto dalla Manifattura Marasca di Vicenza, com’è provato dall’antico campionario rinvenuto dalle curatrici.
Con essi, sono esposti magnifici merletti delle raccolte del museo milanese, costosissimi (e allora ineludibili) accessori di quelle toilette, e, con la consulenza di Matteo Augello, esempi affascinanti dell’eredità lasciata dalle vesti del ’700 a stilisti come Dolce&Gabbana, Gianfranco Ferré, Max Mara, Versace, Vivienne Westwood che, al pari della Fondazione Antonio Ratti, della Collezione Alberto Tagliabue e del Piccolo Teatro di Milano, hanno dato il loro contributo alla mostra.

