La Pala Macinghi di Verrocchio torna agli Uffizi dopo il restauro all’Opd

In deposito dal 1926 in una chiesa alle porte di Firenze, sarà esposta fino a febbraio

Un particolare della «Sacra conversazione con i santi Zanobi, Francesco, Giovanni Battista e Niccolò» (1472 ca), detta Pala Macinghi, di Andrea del Verrocchio e bottega, dopo il restauro
Laura Lombardi |  | Firenze

In deposito nella Chiesa di San Martino a Strada presso Grassina, una frazione di Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze, torna alla Galleria degli Uffizi dopo quasi un secolo (era il 1926) la «Sacra conversazione con i santi Zanobi, Francesco, Giovanni Battista e Niccolò», detta Pala Macinghi, di Andrea del Verrocchio e bottega, del 1472 circa, appena restaurata all’Opificio delle Pietre Dure. Agli Uffizi sarà esposta fino al 19 febbraio nella mostra «Verrocchio e il suo mondo in un’opera misconosciuta: la Pala Macinghi restaurata».

La tavola, citata per la prima volta nel Seicento nella Chiesa della Santissima Annunziata a Firenze, era forse pala d’altare della famiglia Macinghi, nella cappella oggi sede del Capitolo nel Chiostro dei Morti. L’attribuzione ormai unanime alla scuola di Andrea del Verrocchio ha rilievo, considerando che in quella bottega si formarono Sandro Botticelli e Perugino: dopo Firenze, la pala sarà infatti esposta dal 4 marzo alla grande mostra su Perugino alla Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia per poi far ritorno alla Chiesa di San Martino.

Nella bottega di Verrocchio, dove si producevano oggetti di oreficeria, sculture in bronzo e in marmo, dipinti, allievi e lavoranti si esercitavano usando i disegni del maestro e collaborando all’esecuzione di opere per compierle nei tempi previsti, come nel caso del «Battesimo di Cristo» cui parteciparono Leonardo e forse anche lo stesso Botticelli. Nella Pala Macinghi, composizione complessa, ben studiata e di notevole qualità pittorica, si distinguono infatti nelle figure almeno tre mani. Il restauro ha messo in luce alcuni dettagli, quali i ricami e le gemme sui manti dei santi vescovi, ma anche la finissima resa delle oreficerie.

Cecilia Frosinini (Comitato scientifico degli Uffizi, già direttore del settore restauro dei dipinti su tavola e tela dell’Opd) indica che, durante le indagini diagnostiche preliminari, è riemersa sul retro della tavola, una scritta, visibile a occhio nudo ma più leggibile in riflettografia IR,  già attestata dalle descrizioni settecentesche: «Cominciata il 6 aprile e terminata il 15 luglio susseguente 1472». 

«È tracciata in carbone, con grafia quattrocentesca, spiega Frosinini, molto impallidita dal punto di vista conservativo, e interrotta da restauri antichi al supporto. Attesta però un importante e, a questo punto, certo termine cronologico per l’esecuzione dell’opera. Sulla tavola è rappresentata la città di Firenze, un modellino che san Zanobi offre in dono alla Vergine: e la lanterna della cupola del Duomo reca la cosiddetta “palla”, erettavi da Verrocchio nel 1471. Un dato che quindi ricollega i termini cronologici e l’autografia del dipinto».

In mostra, l’opera è posta a confronto con la «Testa di san Girolamo», raro dipinto autografo su carta di Verrocchio (conservato alla Galleria Palatina) per la vicinanza del modello di san Francesco nella Pala Macinghi.

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Laura Lombardi