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La pagina nera degli appalti integrati

Silvia Mazza

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Senza precedenti nella storia dei beni culturali. E un precedente rischia di diventarlo. Il Mibact ha annullato, sotto la pressione del mondo associazionistico e del presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, che ne ha fatto valere la contestazione in sede ministeriale, il bando per l’ampliamento del Museo Archeologico Nazionale (cfr. n. 334, set. ’13, p. 10), che prevedeva anche la sistemazione dell’area antistante l’ingresso. La gara per il progetto esecutivo e i lavori doveva essere espletata il 28 novembre sulla base del definitivo firmato dall’architetto Nicola Di Battista, che nell’aprile 2011 si era aggiudicato il concorso di idee. Del 19 dello stesso novembre è la lettera del Ministero con la richiesta di revoca al direttore generale della Calabria Francesco Prosperetti. I nervi sono tesi, perché sul piatto c’è anche l’altra questione dell’allestimento del museo: il 16 settembre non sono iniziati, come previsto, i lavori, perché si è solo all’affidamento provvisorio. Per quello definitivo si è in attesa di un certificato antimafia. Poi, se non ci saranno ricorsi, serviranno 15 giorni per la progettazione esecutiva e 180 per i lavori. Si arriva così all’apertura totale «tra maggio e giugno 2014», prevista dal sottosegretario Simonetta Giordani. Slittata così anche l’ipotesi di inaugurazione entro aprile, si cerca una soluzione per confermare almeno la prima scadenza del cronoprogramma ministeriale: apertura della sala con i Bronzi entro Natale.
Sul fronte dell’ampliamento, dunque, per non perdere il finanziamento Poin Attrattori naturali, culturali e Turismo Fesr
2007-13, si rimette mano alla progettazione, che adesso passa agli uffici tecnici della Direzione regionale dei Beni culturali: dovendo rendere l’opera «accettabile» alla città, il progetto sarà esteso alla riqualificazione dell’intera piazza De Nava, su cui si affaccia il museo, e alla sua integrazione con lo spazio antistante quest’ultimo.
Ma i problemi anziché diradarsi s’infittiscono. Sul piano della tempistica è già chiaro che la scadenza imposta dall’agenda europea, con la conclusione dell’intervento fissata entro giugno 2015, è difficilmente onorabile. Si confida allora già in scappatoie che possano svincolare i fondi del Poin (dal 2014 Pac, Programmi di azione e coesione), un po’ come avvenuto con il Por 2000-06, grazie alle cosiddette «risorse liberate». E poi basteranno i fondi? O si assisterà a una nuova lievitazione dei costi, già triplicati per il restauro del museo, come per primo denunciò «Il Giornale dell’Arte» (cfr. n. 316, gen. ’12, p. 36)? Certo è che in ballo ci sono 10,5 milioni e che il concorso del 2010 richiedeva, invece, un progetto da 4,5 milioni.
Sul piano tecnico, invece, che cosa resterà del progetto Di Battista? Perché è sulla base di questo che comunque si riparte, e non da una progettazione ex novo. E qui s’impone una riflessione in merito all’autografia di un progetto di architettura. A qualcosa di simile nella stessa Reggio Calabria si sta assistendo per gli altrettanto contestati progetti di riqualificazione del Lido comunale e di piazza Duomo, tanto che bene si potrebbe adattare anche al caso del museo la denuncia del progettista del secondo restyling, Santo Marra: «È insopportabile accettare che l’opinione di persone non correttamente informate possa determinare le sorti di un progetto, come se un chirurgo prima di operare un paziente mettesse ai voti dalla finestra dell’ospedale la scelta del tipo di intervento, a prescindere dalle indicazioni mediche» («Il Quotidiano della Calabria», 31 ottobre).
Anche il progetto Di Battista, incompreso, è stato sacrificato sull’altare di una generale disinformazione. Proponeva di ampliare il museo con una sala ipogea (mille metri quadri), concepita come un padiglione-lanterna, destinata a spazi per servizi aggiuntivi e didattico-informativi, che avrebbe dovuto costituire anche la nuova uscita, finora indifferenziata dall’ingresso principale. Era prevista, inoltre, la sistemazione dell’area antistante l’ingresso principale riunendo i due isolati del museo e della piazza De Nava in un «parvis», un unico grande spazio urbano pedonalizzato, per il quale si pensava in origine (uno dei punti più discussi) all’innalzamento dell’attuale livello della strada (corso Garibaldi) di circa 50 cm per portarla alla quota del museo. I passaggi contestati del progetto erano stati, in realtà, già superati dalle modifiche al definitivo sulla base delle richieste dei commissari del Comune (che hanno espresso parere favorevole condizionato) di mantenere la quota stradale e la condizione di carrabilità del solaio di copertura dell’ipogeo, e della Soprintendenza architettonica di ridurre la volumetria della lanterna. Per il resto si rinviava all’esecutivo. Emblematica della distanza fra la realtà del contesto di provincia in cui è calato il progetto e la sua portata è l’obiezione legata a un fatto di devozione locale: il dietrofront sul previsto innalzamento della quota di corso Garibaldi si deve, sostanzialmente, alla preoccupazione (superata, peraltro, dalla previsione di pedane mobili) che avrebbe costretto a deviare lo storico percorso della processione della Madonna della Consolazione (questione che ha già imposto modifiche all’intervento ricordato per piazza Duomo).
Non resta che interrogarsi. Che senso ha bandire un concorso (seppur nella modalità della partecipazione ristretta), sprecando soldi e mettendo in piedi una commissione giudicatrice di alto profilo per poi non tenere conto del responso? D’ora in poi la strada sarà quella dei tavoli di progettazione partecipata? Si è certi che la soluzione dell’Amministrazione non aggroviglierà ancora di più la matassa? Estendere i lavori all’intera piazza non dovrebbe allarmare a maggior ragione Confcommercio, che già prima prevedeva danni a una cinquantina di esercizi commerciali? Tenere alla base il progetto Di Battista significa mantenere l’idea dell’ipogeo, ma anche sul piede di guerra coloro che temono (a quanto pare immotivatamente) per i rinvenimenti archeologici.
 
Per comprendere l’intera vicenda non si può, allora, che traghettarla su un piano squisitamente politico: per Prosperetti, «a essere pesata decisamente è stata l’assenza di un interlocutore politico in città». La Commissione prefettizia termina il suo mandato in aprile, prorogabile di altri sei mesi. Come già dieci anni fa quando i reggini furono chiamati alle urne popolari contro la clonazione dei Bronzi, la cronaca di Reggio Calabria ci dice ancora che solo dall’intoccabilità dei Guerrieri e del museo sembra discendere la pax sociale di una città che pure ha a che fare con un Comune sciolto per contiguità con la mafia, commissariata, con un enorme debito, emergenza rifiuti, crisi idrica, scheletri di cemento persino in pieno centro. E che nell’arco di 11 giorni, tra ottobre e novembre, ha visto una preoccupante ondata di attentati criminali, tra cui l’incendio che ha devastato il Museo dello strumento musicale, e ciò nonostante si era candidata a Capitale europea della Cultura per il 2019.


 

Silvia Mazza, 23 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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