LA MOSTRA DEL 2020 | I disegni di Goya al Prado

I protagonisti dell'anno scelti dal Giornale dell'Arte

Goya
Franco Fanelli |

La sorprendente attualità di Goya: supplizi, gogne, fughe, capricci e follie, sempre attuali prima e dopo il Covid-19.

Ciò che impressionava subito dopo essere entrati era l’afflusso di pubblico. Certo, il nome era di gran richiamo, ma si trattava pur sempre di disegni, una tipologia che parrebbe esiliata dalla cromolatria dei nostri tempi. Di piccoli fogli a carbone, sanguigna, inchiostri acquerellati, oggetti da vedere da vicino e con un’attenzione sconosciuta alla frenetica fruizione cui eravamo abituati quando, prima del Covid-19, scorrazzavamo in gregge nei musei e alle mostre.

Mettere insieme 251 fogli di Goya ed esporli («Goya. Dibujos. "Solo la voluntad me sobra"» al Prado di Madrid, 20 novembre 2019-16 febbraio 2020) rappresenta uno sforzo forse irripetibile; ma, al di là di questo rilevantissimo aspetto, ciò che inchiodava il pubblico di fronte a quelle immagini era (è) la loro straordinaria e immutata attualità: pochi potevano immaginare che una proliferazione di superstizioni (magari negazioniste), fondamentalismi, oscurantismo, ciarlatani, fattucchiere e creduloni di lì a poco, mentre dilagava la pandemia, avrebbe spiccato il volo da quei taccuini andando a popolare televisioni e giornali.

Il toro che il 28 ottobre del 1816 sventra il suo aguzzino e poi imperversa sulle tribune della Plaza de Madrid, mirabile studio preparatorio per la più celebre delle incisioni della «Tauromaquia», è ora il simbolo della natura che si ribella a una ragione narcotizzata, e fa strage. Quella «moltitudine ignorante e barbara» (Diderot) che affolla un parco in un foglio del 1812-20 è la stessa che sfila in processione alla Quinta del Sordo, e oggi è in fila ai drive in per i tamponi, dopo avere passeggiato e sbevazzato tra lungomari e movida. Supplizi, gogne, fughe, capricci e follie attuali prima e dopo il Covid-19. Lo sono sempre, ma raramente nella storia dell’arte s’incontrano artisti capaci di superare i secoli senza perdere (purtroppo, a volte) di attualità, diremmo di necessità.

La mostra di disegni di Goya al Prado (curata da José Manuel Matilla, affiancata da un catalogo esemplare e terminata a metà febbraio) e i mostri, i demoni e le streghe della Spagna ottocentesca hanno avuto la meglio, nelle nostre preferenze, sull’eterna bellezza perseguita da Raffaello, il cui quinto centenario dalla morte è stato celebrato da una bella mostra alle Scuderie del Quirinale di Roma, e anche sulla straordinaria (e anch’essa non facilmente ripetibile) esposizione dedicata a Van Eyck dal Museo delle Belle Arti di Gand.

Il grottesco dei «Caprichos» e dei «Disparates» ha prevalso anche sui marmi classici della Collezione Torlonia finalmente tornati visibili a Villa Caffarelli a Roma. Salvatore Settis, esaltando, legittimamente, la qualità e la fama stessa di quella statuaria, ha detto che il visitatore avrebbe trovato in mostra opere così celebri che forse credeva di avere già visto. Una bella iperbole ma forse non è questo che ci attendiamo da una mostra se, per una volta, resistiamo al fascino dell’icona, degli dèi e degli eroi e ci guardiamo allo specchio, scoprendovi la verità. «Aún aprendo» (ancora imparo) scrive Goya sul foglio che chiudeva la mostra: un vecchio, un autoritratto allegorico, si regge sulle stampelle e s’incammina, in quel 1828, verso il termine della propria vita o, se vogliamo, della notte.

I PROTAGONISTI DEL 2020 SCELTI DAL GIORNALE DELL'ARTE
La mostra
Il libro
Il museo
Il personaggio

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