La libertà nella clausura | CARLOS GARAICOA

Le voci degli artisti nel coprifuoco da coronavirus

Carlos Garaicoa
Laura Lombardi |

«“It’s the end of the world as we know it…”, R.E.M. (Document, 1987). In questi giorni di confinamento, sospensione delle attività, cancellazione di mostre, viaggi o semplici uscite in giro per la città, abbiamo la sensazione che il mondo non sarà più lo stesso e che le nostre relazioni con gli altri non saranno mai più le stesse di prima. Diamo la colpa al sistema, convinti che abbia fallito per tutti gli esseri umani e che, con nostro grande rammarico, non possiamo farci nulla. Con l’arroganza che caratterizza l’essere umano, sappiamo e affermiamo che la colpa non è nostra, diciamo semplicemente che è la fine del mondo come lo conosciamo.

Ma nulla è più lontano da questa affermazione. Forse dovremmo convincerci che è la fine del mondo come lo abbiamo concepito e come lo abbiamo “costruito” finora. Una costruzione piena di errori, giudizi errati, gesti e azioni che sono molto lontani da una stabile e armoniosa architettura.

Assorbiti dai nostri telefoni e dai nostri computer, abbiamo riscoperto un modo molto dinamico di comunicare, dove i nostri social network sono stati straripanti di battute, video e proposte artistiche piene di arguzia e senso dell’umorismo, dove l’immaginazione e la circolazione della didattica, testi intelligenti ricchi di risorse di comunicazione immediate e urgenti (tra molti altri pessimi), inizia a guadagnare terreno nella nostra vita quotidiana.

Impossibilitati a visitare i nostri studi e trattenuti da altre necessità personali, abbiamo cominciato a pensare ad un pubblico che non si trova più nelle gallerie e nei musei, e che ha poco tempo per ascoltare i nostri messaggi e progetti. Improvvisamente, le nostre opere e i nostri pensieri sono nuovamente pieni di intimità e si trovano di fronte a meccanismi che prima usavamo solo per comunicare per ragioni pratiche.

Probabilmente per la prima volta, gli artisti sono stati espulsi dalla realtà del mondo esterno e social nel quale ci troviamo costantemente, pieni di cose da fare, e mostre e fiere a cui partecipare, e improvvisamente cominciamo a concepire nuovi modi per esprimerci.

Sono questi percorsi - che ci sono sempre stati - che ci permettono di riconnetterci con un pubblico che aspetta che noi agiamo, che proponiamo loro qualcosa di nuovo, senza mediatori, senza intermediari culturali o economici che limitano e confezionano la nostra creazione e pensiero. Questo pubblico aspetta perché non può fare nient’altro, e questo lo trasforma in un ideale e avido pubblico.

Voglio credere che, dopo questo momento di crisi, cominceremo a costruire quel mondo ideale dove l’artista torna al linguaggio, al suo uso sincero ed impegnato, con un destinatario curioso che ha bisogno di riflettere, di condividere il suo dolore e i suoi dubbi, di ridere, disposto ad essere intrattenuto e di passare le prossime poche ore con forza e buon umore.

Voglio pensare alla libera circolazione di quel pensiero creativo come un nuovo flusso, pieno di speranze e incontri sociali di tutti i tipi, senza impedimenti fisici, praticando un’ecologia dei media e un’ecologia dell’economia dove fare arte non sia solo un prodotto di consumo, un bene da possedere e un tesoro per pochi, ma un sano ed efficace modo di condividere la nostra essenza creativa e curativa.
Forse questo è il più grande insegnamento di questi giorni passati e delle settimane che verranno.

Una regressione a una comunità di conoscenza dove l’erudizione è partecipazione, aperta e imparziale. Una regressione a una nuova agorà e polis greca, dove l’arte è semplicemente uno strumento come un altro, che è anche consapevole delle sue limitazioni e il suo stato di grazia quando è esposta e disponibile per tutti.

Dato che i musei ora sono virtuali, nessuno deve pagare un biglietto. Nelle scuole online i bambini sono a casa e non sono stressati, e non devono sopportare i loro insegnanti e vice versa. Le fiere e le gallerie d’arte operano virtualmente, l’arte è ad un bitcoin di distanza, e i nostri lavori possono passare dai nostri telefoni, computer e taccuini ad essere stampati e appesi ai muri di case o riprodotti sui televisori intelligenti con tecnologia avanzata che molti posseggono.

In questo mondo ideale, gli artisti e i creatori di conoscenza verrano pagati solo per mettere i loro lavori e i contenuti della nostra conoscenza in circolazione.
Ma tornando alla realtà, i nuovi canali di comunicazione imposti al momento prevarranno con la forza, se ben usati, saranno i nuovi strumenti dove costruiremo un mondo più verde e più intelligente, che sarà la fine del mondo come l’abbiamo conosciuto fino ad ora, rimpiazzato da un mondo più plurale e aperto, più democratico e partecipativo… un mondo ideale  concordato dalla «interazione» dei cittadini, dall’economia fondata sull’ecologia e dalla creazione di politiche sociali che portano benefici alla creazione artistica e alla circolazione della conoscenza. Un tacito patto per lo sviluppo di tali questioni come bisogni urgenti ed essenziali, dove il potere e i governi si assumono la loro responsabilità».

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Laura Lombardi