La libertà nella clausura | ALESSANDRO PAPETTI

Le voci degli artisti nel coprifuoco da coronavirus

Alessandro Papetti nel suo studio
Ada Masoero |

«Sono con mia moglie a Genova, dove ci trovavamo ancora prima che fossero bloccati i trasferimenti, mentre il mio studio è a Milano, dove vivo. Per fortuna avevo qui un po’ di materiale e altro ne ho fatto arrivare poco prima che i negozi chiudessero, però ovviamente non posso dipingere a olio in un appartamento. Lavoro quindi con l’acrilico su carta preparata da me, come mia abitudine.

E poiché, io che amo le grandi dimensioni, da parecchio tempo mi dicevo che avrei dovuto accettare la sfida di fare cose più piccole per mettermi alla prova, per lavorare ho deliberatamente scelto il tavolino più piccolo della casa.

Ho dovuto però interrompere, con dispiacere, un processo che durava ormai da due anni, che mi aveva portato a elaborare un modo nuovo di lavorare con la pittura a olio. Dopo 40 anni di pittura, mi ero reso conto che alcune cose che avevo fatto negli ultimi 25-30 erano, inconsapevolmente, tessere di un puzzle: anche prima sentivo che erano importanti, ma era una sensazione ancora acerba, non riuscivo a trovare la loro giusta collocazione, benché avvertissi che tutto ciò che avevo fatto dopo, originasse da quelle.

È qualcosa che ha a che vedere con la falsa percezione delle cose, e questo isolamento potrebbe metterne in luce aspetti ulteriori, così come potrebbe confermare o smantellare ciò che è stato.

In passato, nei momenti di cambiamento pittorico la scrittura mi ha aiutato a fissare i concetti. Ora la mente inevitabilmente assorbe retropensieri che si vanno a inserire in quel processo di elaborazione che ricerco. Si fondono, e in parte includono, i dati di questa nuova realtà.

Anche leggere è diventato diverso, per la stessa ragione. Forse la scelta migliore, oggi, sarebbe un autore come Simenon, che ti precipita nel suo mondo sin dalle prime righe. Invece sto leggendo Gli anni di Annie Ernaux, non certo un libro rilassante ma sicuramente un libro interessante, perché si fonda sulla memoria, intesa non come racconto di qualcosa che è capitato ma come sensazione di qualcosa che si è vissuto: una memoria fatta d’immagini più che di parole».

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