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La griffe di Griffa

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Redazione GDA

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Nel 2015 Giorgio Griffa ha tenuto una retrospettiva al Centre d’Art Contemporain di Ginevra, curata da Andrea Bellini. Il critico si sta adoperando a ridisegnare una storia della cultura artistica torinese dagli anni Sessanta in poi, che, in seguito alle vicende culminanti nell’Arte povera, ha penalizzato diversi artisti.

Dal 4 febbraio al 9 aprile, alla Fondazione Giuliani, Bellini cura una mostra di Griffa (Torino, 1936), incentrata sull’opera su carta e composta da oltre quaranta lavori datati dalla fine degli anni Sessanta a oggi.

Rispetto alla produzione su tela dell’artista, il disegno occupa una posizione autonoma, supportato anche esso da una progettazione chiara ed essenziale: «Il disegno è destinato a riempire lo spazio a poco a poco seguendo la direzione, il ritmo, la frequenza scelta. Il momento successivo è rappresentato dalla decisione riguardante il “luogo” di inizio dell’opera, spesso partendo in alto a sinistra, spiega Bellini. La stesura dei tratti avviene in uno stato che Griffa stesso definisce di “concentrazione passiva”: la mano e la mente eseguono il protocollo scelto in uno stato di raccoglimento meditativo, quasi come in un esercizio zen».

Si segnalano un acquarello del 1968, sulla cui superficie appaiono, in alto a sinistra ,«segni primari» che a mano a mano si disperdono nello spazio infinito, e «Canone 989», che si ricollega al numero aureo.

Redazione GDA, 02 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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