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La fotografia sulla scena del crimine

Walter Guadagnini

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Le immagini utilizzate come prova esposte a Le Bal non hanno un autore ma sono interessanti e anche belle

Prima o poi doveva succedere: ecco la «prima mostra senza opere e senza artisti», come recita l’incipit del comunicato stampa emesso da Le Bal per annunciare «Immagini a carico. La costruzione della prova attraverso l’immagine» che si apre il 4 giugno, a cura di Diane Dufour (fino al 30 agosto, catalogo Xavier Barral/Le Bal, con i contributi di diversi studiosi; la mostra è organizzata in collaborazione con la Photographer’s Gallery di Londra, dove sarà dal prossimo ottobre a gennaio 2016 e con il Nederlands Fotomuseum di Rotterdam, maggio-agosto 2016).

Al di là delle facili ironie, la mostra si presenta come estremamente interessante: attraverso 11 casi di studio, viene presentata al pubblico la storia della fotografia forense e di tutti gli utilizzi della fotografia in chiave di prova, testimonianza, legale, storica e sociale.

Dalla nascita di queste pratiche con il metodo Bertillon utilizzato dalle polizie di tutto il mondo (la schedatura di fronte e di profilo) al caso celeberrimo della Sindone (per l’appunto, la fotografia di un crimine), dalle prime fotografie aeree utilizzate nella prima guerra mondiale agli anni del Terrore in Russia e alle prove fotografiche utilizzate nel processo di Norimberga (dove si scopre che i cineoperatori al seguito delle truppe americane erano stati istruiti niente di meno che da John Ford sul come riprendere quello che avrebbero trovato nei campi di concentramento), si svolge un percorso affascinante nei grandi fatti della prima metà del XX secolo e nei meccanismi di costruzione e narrazione della storia.

Un salto di molti anni porta al caso del riconoscimento del cranio di Mengele da parte di un gruppo di studiosi nel 1985, e poi alle più recenti vicende delle fosse comuni in Kurdistan, della distruzione delle abitazioni in Palestina da parte dell’esercito israeliano e di un attacco con i droni a Miranshah, in Pakistan: storie, tutte, poco raccontate dai grandi media, e per la definizione delle quali la fotografia è stata fondamentale.

La mancanza di autori e di opere preannunciata dal comunicato stampa è dunque vera, ma non inficia la qualità e l’interesse della mostra, anzi, conferma una volta di più quella che è una tendenza degli studi sulla fotografia, l’importanza e il fascino di tutte quelle immagini nate per scopi diversi da quello artistico o giornalistico, sorprendenti sia per la ricchezza di informazioni che forniscono, sia per le loro, spesso involontarie, qualità formali. Immagini attraverso le quali, peraltro, ancora una volta ci si trova a interrogarsi sulla natura della fotografia, sul suo rapporto con la realtà: una questione che è sempre più attuale nella società contemporanea così legata all’uso e all’abuso delle fotografie.

Walter Guadagnini, 04 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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