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«Of Lilies and Remains, Congo serie INFRA» di Richard Mosse © Richard Mosse

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«Of Lilies and Remains, Congo serie INFRA» di Richard Mosse © Richard Mosse

La fotografia domina tra guerra e pandemia

Introspezione, visione al femminile e necessità di chiarire il proprio ruolo nella cultura visiva: la fotografia manifesta i suoi punti nevralgici dagli States all'Europa

Chiara Coronelli

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Tra una crisi pandemica non ancora conclusa e un conflitto che rischia l’escalation mondiale, negli ultimi 12 mesi, che dovevano essere l’anno della ripresa, la fotografia sembra essersi concentrata su alcuni punti nevralgici: il bisogno di nuovi parametri per leggere una realtà che si fatica a riconoscere, la tendenza all’introspezione; il boom innegabile della fotografia delle donne, protagoniste di rassegne e pubblicazioni e vincitrici di alcuni tra i premi più importanti; e l’urgenza di una fotografia che chiarisca il suo ruolo nella cultura visiva.

È il caso di «A Trillion Sunsets: A Century of Image Overload» e «Actual Size! Photography at Life Scale», le rassegne in corso all’International Center of Photography di New York con le quali il curatore David Campany solleva domande sull’ambiguità e la capacità persuasiva dell’immagine (ricordando che sempre l’Icp aveva allestito «But Still It Turns», curata dal fotografo Paul Graham che tentava una ricognizione sullo sguardo post documentario). Ancora a New York, «The New Woman Behind the Camera», al Metropolitan Museum of Art, è una ricerca sul ruolo storico delle fotografe tra gli anni ’20 e ’50 del ’900; mentre l’afroamericana Deana Lawson (prima fotografa ad aggiudicarsi l’Hugo Boss Prize, nonché ora finalista al Deutsche Börse Photography Foundation Prize) si è vista dedicare un’antologica all’Institute of Contemporary Art di Boston.

Intanto, tra le notizie, resta l’annuncio della nuova edizione di The Americans, di Robert Frank, che sarà pubblicata da Aperture grazie alla sbalorditiva sovvenzione di 1 milione di dollari. Anche in Europa è ripresa l’attività espositiva: da PHotoEspaña a Photo London, da Unseen Amsterdam al Visa pour l’image di Perpignan, oltre ai ritrovati Rencontres de la Photographie di Arles, dopo il vuoto del 2020, e alla riapertura dello Jeu de Paume, dopo la ristrutturazione. Intanto la Photographers’ Gallery, fondata a Londra da Sue Davis, ha celebrato i 50 anni con un ciclo di rassegne che ne hanno ripercorso l’attività. Tra le mostre si segnala la collettiva «Face Control» alla Fundaciòn Foto Colectania di Barcellona, sulla questione sempre più scottante del potere di sorveglianza messo in campo dalla fotografia.

E la personale del cileno Alfredo Jaar, all’Hasselblad Center di Goteborg, da sempre impegnato sul fronte della rappresentazione della guerra nei media occidentali, di un’attualità quasi beffarda. Discorso non trascurabile quello dei premi, sostenuti dalle istituzioni con determinazione, assegnati per lo più ad artiste donne: alla sudafricana Lebohang Kganye il Grand Prix Images Vevey e il Foam Paul Huf Award 2022; il Prix Pictet 2021 a Sally Mann; la seconda edizione del ricco Photography Award-William Klein ad Annie Leibovitz; il primo KBr Photo Award di Fundación MAPFRE all’artista russo-americana Anastasia Samoylova, anche nella shortlist del Deutsche Börse Photography Prize 2022, la cui edizione 2021 è andata all’artista cinese Cao Fei; e assegnato a Dayanita Singh l’Hasselblad 2022.

Anche in Italia si sono riaperti festival e mostre. A Reggio Emilia è tornata Fotografia Europea, che dopo lo stop del 2020 ha scelto di ripartire da Gianni Rodari, aprendo all’immaginario e a una fotografia capace di farsi veggente «quando il mondo diventa opaco, difficile da interpretare»; a Bologna si è svolta la quinta biennale Foto/Industria del MAST intitolata «Food»; Mantova ha accolto la seconda edizione della Biennale Internazionale della Fotografia Femminile. Da ricordare anche il festival di Fotografia Etica di Lodi, il trentesimo SI FEST di Savignano sul Rubicone, le mostre riprogrammate dal Photolux di Lucca annullato nel 2020; la biennale open air di Images Gibellina.

Fino alla dimensione intima di Cortona On The Move (con l’ultima edizione diretta da Arianna Rinaldo alla quale subentra Paolo Woods), che lo scorso febbraio ha inaugurato lo spin-off Cortona On The Move AlUla, in Arabia Saudita. Infine, a parte le mostre dedicate a Vivian Maier e Tina Modotti di cui ormai è difficile tenere il conto, sono stati esposti molti grandi nomi della fotografia: la memorabile antologica dell’irlandese Richard Mosse al MAST, un’altra voce sul tema ambiguo della visibilità; l’Amazzonia di Sebastião Salgado al MAXXI di Roma; Raymond Depardon alla Triennale di Milano; mentre la torinese Camera ha inanellato le personali di Walter Niedermayr e Martin Parr, per passare ora ai «Capolavori della fotografia moderna 1900-1940» della collezione Thomas Walther del MoMA.

E poi ancora, ai Tre Oci la retrospettiva di Sabine Weiss; ai Musei San Domenico di Forlì le 300 immagini selezionate da Walter Guadagnini per «Essere umane. Le grandi fotografe raccontano il mondo»; «The MAST Collection» con 500 opere della Fondazione MAST; e i 50 autori italiani raccolti nel progetto «The Families of Man» (a cura di Elio Grazioli e Walter Guadagnini), richiamo alla leggendaria rassegna voluta nel 1955 da Edward Steichen al MoMA di New York. Mentre Torino attende la mostra inaugurale di Palazzo Turinetti, quarto polo di Gallerie d’Italia.

«Of Lilies and Remains, Congo serie INFRA» di Richard Mosse © Richard Mosse

Chiara Coronelli, 27 aprile 2022 | © Riproduzione riservata

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