La fotografia documentaria protagonista a PhotoEspaña

Il festival propone 442 autori in 120 mostre allestite in una trentina di sedi, per la maggior parte a Madrid, ma anche in altre città spagnole e in alcune località straniere

© Sebastião Salgado
Roberta Bosco |  | Madrid

Superati gli anni della pandemia con fantasia e coraggio, PhotoEspaña, la cui prima edizione si tenne il 16 giugno 1998, arriva al 25mo anniversario senza mascherina, in un mondo ormai quasi normalizzato. Il festival diretto da Claude Bussac, che in questi anni è diventato un punto di riferimento per la fotografia in Spagna e in Europa, si tiene dal 1° giugno al 28 agosto e presenta il lavoro, spesso inedito, di 442 autori in 120 mostre, allestite in 31 sedi, per la maggior parte a Madrid, ma anche in altre città spagnole e in alcune località straniere.

Il piatto forte del 25mo anniversario sarà la fotografia documentaria con «Sculpting Reality» una grande mostra curata da Vicente Todolí e Sandra Guimarães, con 500 opere di una trentina di autori. Allestita in due sedi, il Círculo de Bellas Artes e la Casa América, la mostra ripercorre la storia dello stile documentario (definizione coniata da Walker Evans) dai suoi esordi negli anni Trenta ad oggi. Secondo i curatori, questo stile, inteso inizialmente come fotografia legata al reportage e al fotogiornalismo, come quella dei primi lavori di Helen Levitt o Robert Frank, e pubblicata da giornali e riviste come «Double Elephant Press», si è poi evoluto con le sperimentazioni di autori come Lee Friedlander o Garry Winogrand, integrandosi nella fotografia artistica.

«Abbiamo selezionato immagini che riflettono sulla capacità narrativa di questo genere, sul suo rapporto con la verità, l’interpretazione e la costruzione della scena e sul suo potenziale per immortalare realtà sociali, politiche e culturali», spiegano i curatori invitati. Per la prima volta PhotoEspaña dispone anche degli spazi del Patrimonio Nacional come il Panteón de Hombres Ilustres che accoglierà il progetto «Caída libre» di Beatriz Ruibal sulle migrazioni causate da guerre e disastri naturali; e il Palacio Real, dove i paesaggi delle collezioni reali di autori come W. Atkinson, J. Laurent, C. Clifford o Wodbury & Page dialogheranno con i lavori del brasiliano Sebastião Salgado.

La sezione ufficiale comprende varie collettive che affrontano temi quali la visibilità di fotografe che furono decisive per l’evoluzione della disciplina. Tra loro l’italiana Tina Modotti, che registrò uno dei periodi più complessi della storia moderna del Messico, dove morì a soli 46 anni; le fotoreporter anarchiche Kati Horna e Margaret Michaels, le cui opere della Guerra Civile furono riscoperte nel 2006 in un Istituto di Storia Sociale di Amsterdam; fino a Germaine Krull, cronista di un episodio cruciale come la fuga nel 1941 di molti scrittori e artisti dalla Francia di Vichy.

Lo spagnolo Alberto García-Alix presenterà nel Giardino Botanico «Fantasías en el Prado» un lavoro in cui reinterpreta alcuni dei capolavori della pinacoteca sovrapponendo immagini analogiche. Tra le personali spicca «The Blinding Light» di Mounir Fatmi a Casa Árabe, un progetto ispirato alla Pala di San Marco, dipinta da Beato Angelico nel 1440. Quest’anno l’Istituto Italiano di Cultura si unisce al festival con la mostra «Hipótesis de figuración», in cui cinque autori italiani e tre spagnoli affrontano in chiave fotografica l’opera di Pier Paolo Pasolini.

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