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La figura senza paura

Silvano Manganaro

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Dal 9 aprile al 23 agosto l’HangarBicocca, in un clima di riassetto del gruppo Pirelli (inventore e sostenitore dello spazio espositivo) dopo l’ingresso nella società del colosso chimico Chem China, presenta «Double Bind & Around», un’ampia mostra dedicata allo scultore spagnolo Juan Muñoz (1953-2001; nella foto). Ne parla il suo curatore, nonché direttore dell’HangarBicocca, Vicente Todolí.
Come per Dieter Roth, sembra che uno degli obiettivi della sua direzione sia presentare al pubblico grandi artisti internazionali, anche scomparsi, che non avevano in precedenza ricevuto grande attenzione da parte di importanti sedi espositive italiane sia pubbliche sia private. Che cosa l’ha spinta curare questa mostra?
Esiste un duplice motivo. Prima di tutto una ragione connessa allo spazio espositivo. Perché «Double Bind», l’ultima opera realizzata da Juan Muñoz, è stata concepita per uno spazio affine ad HangarBicocca, la Turbine Hall della Tate Modern di Londra. A me viene da pensare alla realizzazione di «Double Bind» come alla Cappella Sistina, un’opera che ha richiesto energie infinite all’artista. All’epoca, nel 2001, io non ero ancora direttore della Tate e andai a vederla come un comune visitatore. Ne rimasi affascinato, ma avevo la consapevolezza che quello spazio era speciale e che non ne esistevano molti al mondo tali da accogliere un’opera di questa portata. Poi quando mi chiamarono all’HangarBicocca capii che «Double Bind» avrebbe ripreso vita qui. Il secondo motivo riguarda l’intenzione di celebrare Juan Muñoz in Italia con una retrospettiva che vuole andare in profondità per portare all’attenzione del pubblico una selezione di opere che segna lo sviluppo del suo percorso. Aveva già avuto legami e rapporti con l’Italia. Era stato un anno a studiare e ammirare l’architettura e la scultura barocca, Bernini e Borromini. Aveva avuto un percorso tangenziale all’Arte povera, in risposta al Minimalismo, gli era stata dedicata una mostra dalla Galleria Continua ed era stato invitato dalla Biennale di Venezia nel 1997 (anno in cui ne ero cocuratore). Ma non vi erano stati riconoscimenti ufficiali con grandi mostre personali. Questa retrospettiva intende mostrare l’universo di Muñoz in dialogo con la tradizione classica italiana. Una delle opere più importanti in mostra è proprio «Double Bind».
Quali sono le caratteristiche dell’allestimento e quali le specificità legate alla sede espositiva milanese?
La Turbine Hall della Tate di Londra e l’HangarBicocca di Milano sono spazi simili ma non gemelli. HangarBicocca è persino più ampio e conserva le colonne centrali, tipiche di uno spazio che è stato industriale. Quindi c’era la necessità di declinare l’opera su perimetri e contesti diversi. C’è stato un grande lavoro di riadattamento che ho realizzato insieme a Cristina Iglesias, vedova di Muñoz, capace di pensare all’unisono con suo marito, forse perché anche lei è artista. Ho lavorato molto anche con James Lingwood, che ha curato diverse mostre di Muñoz e ne conosce profondamente il lavoro. L’esito finale non differisce molto dalla versione di Londra, anche se a Milano «Double Bind» vive insieme alle altre opere collocate attorno alla sua struttura. La retrospettiva (che propone in tutto 15 opere, Ndr) presenta anche molti gruppi scultorei che si appropriano dello spazio e che sono capaci di creare una strategia architettonica. Desideravo amplificare l’opera di Juan Muñoz e in HangarBicocca ho trovato le condizioni per poterlo fare.
Nell’opera di Muñoz quale ritiene essere l’elemento più interessante e quello che ha avuto, e può ancora avere, un’influenza importante nel panorama artistico internazionale?
Juan Muñoz è uno dei maggiori protagonisti della scultura contemporanea degli ultimi decenni del Novecento. Con il suo lavoro ha reintrodotto la figura al centro dello spazio architettonico, dopo la lunga parentesi delle neoavanguardie che nel secondo Novecento avevano escluso qualsiasi rappresentazione umana dal linguaggio scultoreo. Le sue opere e composizioni hanno conferito alla scultura nuove possibilità di narrazione ingaggiando un intenso scambio tra realtà e illusione.

Silvano Manganaro, 31 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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