La commedia dell’arte di Baj

Il percorso espositivo allestito alla Galleria Gracis è un tuffo nell’universo popolare che da sempre ha animato le opere del prolifico artista milanese

«Personaggio allo specchio» (1971) di Enrico Baj
Francesca Interlenghi |  | Milano

A partire dal 3 ottobre, la Galleria Gracis dedica un’importante mostra ad Enrico Baj (Milano, 1924) per celebrare, a vent’anni dalla scomparsa, il lavoro di un artista che si è sempre mosso al di fuori degli schemi della rappresentazione più tradizionale. Il titolo della personale, «Soluzioni immaginarie», fa riferimento alla Patafisica, la corrente artistica le cui prime manifestazioni risalgono al drammaturgo e poeta francese Alfred Jarry, ideatore della «scienza delle soluzioni immaginarie», che tanto ha influenzato la ricerca di Baj.

Essa consiste fondamentalmente nella reinvenzione delle leggi che regolano la società stravolgendone i codici acquisiti e ben si accorda con la pratica di questo autore, per il quale la critica sociale ha rappresentato l’elemento propulsore del suo fare arte. Puntando sin dall’inizio della sua attività sull’elemento figurale, è stato capace di esiti del tutto inconsueti, che hanno sempre posto massima enfasi sugli aspetti compositivi, materici e cromatici delle opere, anche in quelle più politicizzate e dal forte impegno civile come «I Funerali dell’Anarchico Pinelli» (1972).

Dalle passamanerie ai lustrini, dalle medaglie dei suoi «Generali» e delle sue «Dame» fino all’utilizzo di materie plastiche e di serigrafie, Baj ha dato vita a un universo popolato di personaggi ora mostruosi, ora ingenui, ora ironici, ora grotteschi, che emergono da sfondi di carte da parati o di stoffe da tappezzeria.

Il percorso espositivo, visibile sino al 23 dicembre, raccoglie un significativo corpus di lavori che raccontano la tendenza dell’artista ad antropomorfizzare la realtà. Baj attua un recupero sistematico del genere del ritratto, privando però i soggetti della loro individualità. Li agghinda con medaglie, onori e attributi dal vano significato, li apostrofa con nomi pomposi esaltando così il loro carattere effimero, trasformandoli in effigi della vanità.

Come nella serie dei «Guermantes», ampiamente rappresentata in questa occasione con circa 40 pezzi, realizzata dal 1999 al 2000 e ispirata al terzo volume del capolavoro di Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto, in cui sfilano re, regine, marchesi, poeti, dignitari, artisti, medici e generali.

Artista poliedrico, che ha utilizzato disegni, dipinti, collage e specchi, è approdato ai multipli esprimendo nella riproducibilità la volontà di democratizzazione del suo lavoro: praticare una moltiplicazione dell’oggetto significava favorirne una diversa fruizione estetica e sociale e offrire a un pubblico sempre più vasto la conoscenza dell’arte contemporanea.

Con il suo spirito ribelle e refrattario a qualsivoglia categorizzazione, Baj è stato capace di mettere in scena l’intricata commedia umana, raccontando il nonsenso del vivere e della storia con una risata immensa, come scrive Alain Jouffroy in «Un Manifesto permanente contro la stupidità», percebibile in tutti i suoi quadri, risposta personale al pervadente nichilismo universale.

© Riproduzione riservata «Orazio Nelson Duca di Bronte» (1972) di Enrico Baj
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