La collezione nascosta dell’Istituto Romano di San Michele

L’ente, nato nel ’700 per il recupero dei giovani attraverso l’arte, sta restaurando e catalogando le opere

Il laboratorio di restauro dell'Istituto Romano di San Michele a Roma
Tommaso Strinati |  | Roma

Questa storia comincia da un bando pubblicato sul sito dell’Istituto Romano del San Michele nell’agosto 2018. Nell’avviso si parlava della ricerca di una figura professionale che facesse da supporto all’imminente riordino della collezione d’arte sacra. Sulle prime pensai che l’Istituto si riferisse al complesso che a Roma tutti chiamiamo il San Michele, ovvero la sede del Mibact a Trastevere, ma non era così.

L’Istituto Romano di San Michele è una Asp (Azienda di servizi alla persona) rivolta ad anziani e alle fasce deboli della popolazione nella borgata storica di Tormarancia, poco distante dall’area archeologica centrale. Si tratta di una specie di cittadella razionalista costruita nel 1937 da Alberto Calza Bini, un architetto nella costellazione di Marcello Piacentini, sul modello delle città satelliti pontine; la sua destinazione era ospitare soprattutto giovani per indirizzarli verso un lavoro attraverso scuole di arti e mestieri all’interno dell’edificio stesso.

L’omonimia con la sede storica del Ministero a Porta Portese aveva tuttavia un senso: fino al 1937 l’Istituto si trovava nella sede di Trastevere con il nome di Ospizio Apostolico del San Michele, dove nacque come immenso centro di assistenza e beneficenza alla fine del XVIII secolo sull’onda di problemi quali l’accattonaggio, la prostituzione e l’abbandono minorile, tutte pericolose bombe sociali.

Oltre all’assistenza in sé, l’Ospizio mise a regime un fortunato sistema di scuole d’arte interne che riuscì a sfornare generazioni di artigiani e artisti trasformando gli ospiti più giovani da soggetti deboli in studenti modello; questo grazie anche alla qualità dei maestri: basti pensare che Duilio Cambellotti e Giulio Aristide Sartorio furono tra i docenti e collaboratori dell’Istituto.

Dopo oltre due secoli di attività e a seguito della proclamazione di Roma capitale d’Italia, l’Istituto perse risorse e, nel 1937, fu costretto a trasferire la sede a Tormarancia a causa del degrado del complesso di Trastevere. Il trasferimento non fu indolore: migliaia di opere d’arte usate come arredi o fondi delle scuole d’arte, durante il trasporto andarono perdute e rubate; a ciò si aggiunge che nessuno, nei secoli, aveva catalogato nulla, casualmente (o artatamente) poco prima che fosse emanata la nuova legge sulla tutela dei Beni culturali, la n. 1.089 del 1939.

Fu così che nella sede nuova di zecca arrivò solo una minima parte di una raccolta d’arte che, seppure non configurata come collezione vera e propria, va considerata come una delle più vaste della Roma tardobarocca. E qui inizia la storia vera e propria. Nell’ottobre 2018, da poco iniziata la collaborazione con l’Istituto, chiedo d’ispezionare una sala al piano terra della palazzina destinata agli uffici amministrativi. Una targa indicava l’esistenza di un museo: entrando, la sensazione da Caravaggio in soffitta è stata immediata.

Centinaia di pezzi, sistemati uno accanto all’altro per forma e dimensione, ma difficili da vedere per il poco spazio in cui erano assiepati, sono comparsi dal nulla, come una villa romana da uno scavo archeologico. Si trattava del deposito dove, da almeno settant’anni, erano stati sistemati dipinti, sculture, grafiche e oggetti d’arte applicata ritenuti poco adatti per l’arredo, evidentemente per il pessimo stato di conservazione in cui si trovavano, e si trovano ancora. Le opere sono ciò che resta della raccolta d’arte del Pontificio Istituto del San Michele, una minima parte ma pur sempre una traccia.

Grazie alla determinazione del segretario generale Claudio Panella e dello staff operativo interno, il deposito è stato svuotato e risanato, le opere sono state catalogate e sono stati predisposti e realizzati i primi importanti progetti di restauro in collaborazione con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma attraverso la storica dell’arte Roberta Porfiri.

Dal settembre 2019 la Fondazione Sorgente Group, presieduta da Valter Mainetti insieme alla moglie Paola, sostiene il restauro delle opere d’arte «ritrovate» dell’Istituto. Grazie al mecenatismo della Fondazione sono in dirittura d’arrivo tre interventi, eseguiti da Veronica Soro e Silvia Fioravanti con la direzione di Daphne De Luca, Roberta Porfiri e di chi scrive, su opere inedite di grande pregio: il «San Giuseppe con Gesù giovinetto», olio su tela di Giovanni Baglione e bottega (1573-1643), la «Sacra Famiglia con san Giovannino e due santi adolescenti», olio su tavola di Carlo Portelli (1510-74) e la «Madonna del cardo» di Emma Regis, olio su tela degli anni Venti del XX secolo, capolavoro di un’ignota pittrice della quale si sta ricostruendo il ruolo nella Roma dannunziana.

La tela di Baglione testimonia il passaggio del maestro romano allo stile classicista dopo una fase d’innamoramento caravaggesco. È la seconda versione di una pala d’altare, identica e oggi perduta, che si trovava al Pantheon. La pala di Portelli è una coloratissima tavola fiorentina che dopo il restauro ha ritrovato gamme cromatiche michelangiolesche, rare nel panorama romano. Emma Regis è stata la sorpresa più grande: La «Madonna del cardo» è un capolavoro della pittura Liberty nata negli anni delle avanguardie astratte e racconta di una Roma dannunziana dove arte, cinema e musica parlavano una lingua comune.

Ma la collezione del San Michele è fatta anche di opere minute e non meno affascinanti, come i reliquiari argentei romani del Settecento che affollano la chiesa del complesso. Ognuno di essi, fatto rarissimo, è corredato da una sorta di certificato di autenticità, un documento antico e coevo che, sigillato con ceralacca, riporta la descrizione della reliquia e il procedimento per renderla oggetto di culto.

Nel deposito sono poi emersi capolavori assoluti come «I Figli di Caino» di Giulio Aristide Sartorio, un frammento di un grande fregio di oltre sei metri di lunghezza realizzato intorno al 1888 e smembrato dallo stesso Sartorio, o la pala settecentesca della cerchia di Marco Benefial raffigurante la Madonna del Rosario, un tempo nella chiesa seicentesca dell’antico complesso del San Michele a Trastevere.

In prospettiva, la collezione dell’Istituto oggi presieduto dall’avvocato Luca Petrucci, è destinata a tornare un bene di pubblica fruizione, attraverso un deposito attrezzato e una rotazione delle opere che, dentro e fuori il complesso, in comodato o in prestito temporaneo, possano testimoniare il ruolo culturale, oltre che sociale, di un’istituzione romana che fece dell’arte e della cultura un’arma affilata contro il degrado sociale.

© Riproduzione riservata Una veduta degli esterni dell'Istituto Romano di San Michele a Roma Particolare della «Madonna del cardo» di Emma Regis