La Biennale è la Biennale. Venezia è Venezia

Il dialogo tra l’istituzione e la città attraverso mostre, progetti culturali, urbanistici e fondi ministeriali. Il racconto di Roberto Cicutto

Roberto Cicutto, © Jacopo Salvi Cortesia La Biennale di Venezia
Enrico Tantucci |  | Venezia

La Biennale torna al centro di tutto e Venezia si muove con lei. «Il latte dei sogni», la nuova edizione dell’esposizione Internazionale d’Arte in programma dal 23 aprile al 27 novembre tra i Giardini e l’Arsenale, ma estesa a tutta la città storica con i padiglione esterni e le mostre collaterali, si annuncia come un potente catalizzatore di visitatori ripopolando Venezia nel momento in cui il Covid allenta la presa. Il presidente della fondazione culturale Roberto Cicutto, pur rallegrandosene, vorrebbe però attorno e insieme alla Biennale un vero coordinamento delle moltissime attività culturali, ancora assenti.

Presidente Cicutto, la Biennale si conferma il «metronomo» delle iniziative espositive a Venezia.
Noi facciamo del nostro meglio, ma non mi sembra né giusto né opportuno legare il successo della programmazione espositiva veneziana alla Biennale. Venezia è Venezia e la Biennale è la Biennale. Ci sono molte altre istituzioni culturali che programmano attività importanti, ma quello che manca purtroppo è un vero coordinamento, la creazione di un Sistema Cultura Venezia di cui tutti beneficerebbero, rafforzando la stessa immagine della città.

Visto che questo coordinamento non lo fa nessuno, perché non provate a farlo voi?
Abbiamo già iniziato. Il primo progetto lanciato con il nuovo centro di ricerca sull’arte contemporanea legato all’Asac (Archivio storico delle arti contemporanee della fondazione), che sorgerà all’Arsenale e che riguarda la mappatura geopolitica degli artisti passati per la Biennale negli ultimi vent’anni, coinvolge non a caso università veneziane come Ca’ Foscari e Iuav, oltre all’Accademia di Belle Arti, al Conservatorio e ad altre due università italiane come la Sapienza di Roma e l’Iulm di Milano. Stiamo stringendo rapporti di collaborazione anche con altre istituzioni veneziane, come la Fondazione Cini, anche per quanto riguarda la disponibilità di spazi da riservare ai ricercatori.

A che punto è l’insediamento all’Arsenale del nuovo polo di ricerca legato all’arte contemporanea? Avete già ricevuto parte dei circa 170 milioni di euro destinati alla Biennale dal Ministero della Cultura attraverso il Pnrr?
Avevamo già ricevuto al di fuori di essi dal Ministero della Cultura i fondi necessari ai lavori di recupero del Magazzino del Ferro, dove avrà sede il nuovo centro di ricerca. Quanto ai fondi del Pnrr l’impegno è di spenderne almeno il 40% nel 2022, per non rischiare di perderli, ma sono scadenze che anche il Ministero conosce bene. I fondi del Pnrr consentiranno alla Biennale di avviare all’Arsenale attività per 365 giorni l’anno, impiegabili in buona parte per il recupero fisico del complesso, ma anche per altri interventi che riguardano il Palazzo del Cinema al Lido, il nuovo Centro Informatico Musicale Multimediale al Teatro della Bissuola e gli spazi di Forte Marghera.

Pensate anche a nuove strutture?
Sempre all’Arsenale vogliamo realizzare un nuovo teatro polifunzionale e una foresteria di alcune decine di posti per i ricercatori che frequenteranno il nuovo Centro. Lo collocazione è ancora da stabilire, ma a questo scopo puntiamo anche ad accordi con altre istituzioni come ad esempio la Fondazione Cini con cui è in corso un dialogo. Sono iniziative che non serviranno solo alla Biennale, ma anche all’Italia e a Venezia.

Come procede la prima ricerca avviata dal nuovo Centro di ricerca, dedicata alla mappa geopolitica degli artisti che sono passati per la Biennale nei vari settori negli ultimi vent’anni?
Molto bene, si sono già tenute due sessioni con i gruppi di studenti selezionati dalle università e dagli istituti partecipanti al progetto e abbiamo iniziato la raccolta dei dati. La ricerca non vuole essere un punto d’arrivo, ma un punto di partenza, i dati raccolti saranno messi a disposizione degli stessi studenti per le loro tesi, anche se li pubblicheremo. E ci serviranno anche per orientare o correggere in futuro le scelte della Biennale.

Questa Mostra d’Arte si annuncia particolarmente «green».
Sì, la sostenibilità ambientale è anche per noi sempre più importante e per il 2022 l’obiettivo è di estendere il raggiungimento della certificazione della «neutralità carbonica», ottenuto nel 2021 per la Mostra del Cinema, anche a tutte le manifestazioni del 2022, a cominciare dalla Biennale Arte. L’obiettivo è ridurre le emissioni generate dalle manifestazioni e per questo stileremo anche un memorandum per i visitatori, chiedendo la loro collaborazione.

È una Mostra impegnativa anche sul piano economico, con un costo di circa 18 milioni di euro.
Non sarà più costosa di altre, la maggiore spesa è dovuta alla lievitazione dei costi, come quelli dei trasporti, e alle misure aggiuntive, legate anche all’emergenza Covid.

Vi aspettate un boom di visitatori, visto che già la Biennale Architettura, pur con le limitazioni legate al Covid è stata da record e che si va verso un progressivo ritorno alla normalità?
Tutto dipenderà naturalmente dall’ulteriore evoluzione del virus, ma ci aspettiamo effettivamente una forte risposta del pubblico. Già lo scorso anno, in più occasioni, abbiamo sfiorato il limite che ci eravamo imposti e che era di non più di 6mila visitatori al giorno contemporaneamente tra Giardini e Arsenale. Ma lo sforzo che vogliamo fare è anche quello di cercare di fidelizzare una parte del pubblico accorso lo scorso anno per Architettura, soprattutto quello più giovane, convincendo magari anche i genitori a venire a vedere la Mostra. Manterremo comunque alcune misure che abbiamo adottato per l’emergenza Covid e che si sono rivelate particolarmente utili ed efficaci, come quella della prenotazione delle visite.

Lei sta puntando forte anche su un sempre maggiore sviluppo dell’interdisciplinarietà tra i vari settori della Biennale, favorendo il dialogo tra i settori.
È qualcosa che appartiene alla storia e alla natura stessa della Biennale e che abbiamo messo in opera due anni fa con la mostra storica «Le muse inquiete» curata proprio da Cecilia Alemani, ora alla guida dell’esposizione d’Arte, insieme ai direttori artistici tutti i settori della Biennale. Stiamo favorendo gli incontri tra i vari curatori e l’ultima volta siamo riusciti a fare la prima foto di gruppo con tutti i responsabili dei settori della Biennale. Il dialogo fra essi è l’unico modo per la Biennale di svilupparsi ulteriormente. E anche su questa collaborazione si baserà il nuovo Centro per le Arti Contemporanee.

La formazione è un’altro dei settori della fondazione in forte sviluppo, vedi la formula della Biennale College per i vari settori.
I College non sono propriamente un’attività di formazione, ma piuttosto una possibilità di espressione per giovani talenti di tutte le discipline, permettendo alla Biennale di lavorare con le fasce giovanili. Per la prima volta quest’anno abbiamo avuto un College per le Arti Visive, con quattro giovani artisti che esporranno fuori concorso nella Mostra di Cecilia Alemani, ((con la possibilità di esporre poi anche all’estero). Vorremmo creare il prossimo anno con la nuova curatrice, Lesley Lokko, il primo College di Architettura, anche se non sarà facile trovare la formula giusta senza sovrapporsi alle attività di università e accademie.

Una pioggia di 170 milioni di euro circa di fondi europei sta per «piovervi addosso». Siete «ricchi»!
Neanche un euro di quella cifra andrà a finanziare le spese correnti della Biennale, serviranno solo per investimenti, in parte concordati con il Comune di Venezia, per migliorare le strutture degli edifici, a cominciare dall’Arsenale. Dobbiamo però spenderli nel giro di sei anni e non sarà semplice, vista la mole degli interventi previsti.

Lei è già a metà del suo mandato. Pentito di essere arrivato alla Biennale?
Sarei un pazzo. È un’istituzione di altissimo livello per la cultura italiana e dove è possibile fare un lavoro estremamente creativo e stimolante con una squadra di prim’ordine. Anche in mezzo alle difficoltà e all’estrema incertezza nel portare avanti i programmi con l’incubo del virus, non c’è stato uno che abbia detto: «Non ce la facciamo».

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