La Biennale di Istanbul porta l’arte alle comunità

I tre curatori della rassegna (Ute Meta Bauer, Amar Kanwar e David Teh) concepiscono la rassegna come incubatore o terreno fertile in cui le idee possono fiorire e proliferare

«Climavore. On Tidal Zones» di Cooking Sections. Foto Ruth Clark
Federico Florian |  | Istanbul

«Questa Biennale si propone di imparare dal volo degli uccelli, dai mari un tempo brulicanti di vita, dai lenti processi chimici di rinascita e nutrimento della terra». Non si tratta di un manifesto neoanimista, ma delle parole con cui i curatori della diciottesima edizione della Biennale di Istanbul (la curatrice tedesca Ute Meta Bauer, l’artista indiano Amar Kanwar e lo storico dell’arte australiano David Teh) introducono il concept della rassegna, visitabile dal 17 settembre al 20 novembre.

Un progetto espositivo che i tre direttori creativi assimilano al processo della fermentazione: la biennale come incubatore o terreno fertile in cui idee e riflessioni di varia natura possono fiorire e proliferare. Anziché affidarsi a un unico tema, la rassegna si sviluppa attorno a una serie di concetti generali e campi d’indagine vari: la geopolitica, la pedagogia, l’archivistica. Ma con un obiettivo: «Rivitalizzare l’impegno civico e mobilitare gli abitanti di Istanbul in quanto partecipanti attivi».

Una biennale dispersa, le cui location sono dislocate nel tessuto urbano della megalopoli turca: da luoghi più istituzionali (quali il Pera Museum o il Performistanbul Live Art Research Space) a edifici riadattati a funzione espositiva (una ex scuola femminile greca di fine Ottocento, un vecchio hammam turco e un giardino di piante medicinali) e spazi privati (l’atelier di un calligrafo, caffè e librerie dell’usato).

Un progetto che va a ridefinire la mappa metropolitana, portando l’arte alle comunità, innescando coproduzioni e collaborazioni. Cooking Sections, il duo di artisti-ricercatori composto da Daniel Fernández Pascual e Alon Schwabe che esplora la relazione tra cibo e ambientalismo, presenta a Istanbul un programma di performance e una pasticceria temporanea, risultato di un’indagine sul ciclo vitale dei bufali d’acqua che popolano la regione.

Lo spagnolo Fernando García-Dory, invece, prosegue la ricerca avviata nel corso dell’edizione 2015 della Biennale sulla produzione di formaggi e sulla cultura pastorale della regione di Kars in Anatolia orientale: oltre a una serie di workshop concepiti per insegnare e rivitalizzare processi caseifici tradizionali, l’artista presenta un’installazione che illustra i profondi legami tra terra, uomini e animali in quella specifica area geografica.

E se Orkan Telhan scandaglia la storia degli orti comunitari di Istanbul da una prospettiva microbica, l’opera di Gülsün Karamustafa, tra le protagoniste della scena dell’arte turca, affronta il tema della violenza contro le donne durante la pandemia.

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