LA BIENNALE CHE SARÀ | In Capsule: Corpo orbita

Tra le ibridazioni e metamorfosi esaminate vi è quella del linguaggio, dell’universo verbo-iconico, del corpo della parola, della scrittura, un tema anticipato nel 1978 da Mirella Bentivoglio

Un’opera di Tomaso Binga «Untitled L» (2020) di Merikokeb Berhanu Un’opera di Cecilia Vicuña a documenta14 Opere di Simone Fattal Cortesia di Kaufmann Repetto Un’opera di Irma Blank Cortesia di Villa dei Cedri Un’opera di Mrinalini Mukherjee al Met Breuer
Guglielmo Gigliotti |

BIENNALE IN CAPSULE:
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Corpo Orbita
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Le capsule sono mostre tematiche, quella che tratteremo qui reca il titolo «Corpo orbita», che un allestimento firmato dai designer FormaFantasma isolerà dal restante contesto espositivo.

Esse rappresentano un tempo che si svolge all’indietro, verso le radici storiche dei temi trattati in Biennale: il corpo e le sue possibili metamorfosi immaginarie o post-umane, la donna come soggetto storico e culturale, la messa in crisi dell’antropocentrismo in nome di una relazione più sana con la natura e gli animali. La Biennale scruta il futuro con un cannocchiale che viene dal passato.

Per Cecilia Alemani «la Biennale non può essere solo l’esposizione delle ultime tendenze artistiche, che pure ci saranno, ma deve essere anche un momento di riflessione sulla propria storia». Si tratta di «interrogare la centralità di alcune Storie che si sono imposte nella storia dell’arte e nell’arte contemporanea, e raccontare anche storie che molti hanno considerato minori».

Ciò permetterà di fare «dei rimandi tra le opere storiche e quelle contemporanee che saranno allestite tutt’attorno. Per questo la mostra è una mostra trans-storica, che mette in dialogo il passato e il contemporaneo, anche a distanza di tante generazioni, includendo anche tante controstorie e storie di esclusione». Ciò varrà anche come «risarcimento critico per artiste spesso dimenticate». L’allestimento di FormaFantasma permetterà l’accesso «in un’altra dimensione».

«Corpo orbita» è la capsula della mostra centrale della Biennale di Venezia dedicata non al corpo inteso in senso fisico, ma in quello di scrittura. È il corpo delle parole, per come lo intendeva Mirella Bentivoglio, poetessa, artista e critica d’arte, a cui la capsula in questione rende omaggio, presentando una parte delle opere che essa stessa selezionò per una mostra di sole artiste donne da lei curata proprio alla Biennale di Venezia, quella del 1978, mostra dal titolo «Materializzazione del linguaggio».
Veduta dell'allestimento della mostra «Materializzazione del linguaggio» (1978) ai Magazzini del Sale, evento collaterale della Biennale di Venezia, Cortesia Archivio Mirella Bentivoglio Roma
La Bentivoglio è morta nel 2017 ed era nata nel 1922, quindi oltre alla sua mostra rivoluzionaria, questa Biennale celebra anche il centenario della sua ideatrice. Ai Magazzini del sale, Mirella Bentivoglio riunì le opere di 80 artiste, tutte dedite alla Poesia concreta (trattamento libero o astratto, e dunque asemantico, dei caratteri verbali), alla Poesia visiva (connubi di parole e immagini), alla Poesia-oggetto (sculture a base di lettere o scomposizioni verbali), ai libri-oggetto (libri d’arte).

La stessa Bentivoglio è tra le rappresentanti maggiori al mondo di arte scritturale, avendo praticato tutti i versanti sopradescritti dell’universo verbo-iconico ed esposto in molte mostre italiane ed estere.

All’indomani della grande mostra del 1978, Giulio Carlo Argan la chiamò a compilare la voce «Poesia visiva» nell’Enciclopedia Universale dell’Arte, edita da Unedi. La stessa mostra veneziana era introdotta da uno dei suoi tanti saggi dedicati al tema: «La donna è stata smaterializzata in passato nella sublimità astratta della sua pubblica immagine, parallela alla sua assenza, privatamente confinata nel contatto quotidiano ed esclusivo con le materie».

Liberare la scrittura dai vincoli delle regole e dei significati era per Mirella Bentivoglio un atto di emancipazione femminile traslata nella dimensione comunicativa. Così, a esporre a «Materializzazione del linguaggio» (intendendo materializzazione come sua concreta configurazione plastica) invitò molte artiste coetanee, ma anche esponenti donne del Futurismo italiano e russo.
Mirella Bentivoglio parla al microfono all'inaugurazione della mostra «Materializzazione del linguaggio»,  Biennale di Venezia del 1978, Cortesia Archivio Mirella Bentivoglio Roma
Tra le 80 citiamo Irma Blank, Chiara Diamantini, Maria Lai, Tomaso Binga, Regina, Gisella Meo, Carla Vasio, Paula Claire, Sonia Delaunay, Betty Danon, Lia Drei, Anna Esposito, Maria Ferrero Gussago, Ilse Garnier, Natalia Gončarova, Luisa Gardini, Elisabetta Gut, Lucia Marcucci, Simona Weller, Giovanna Sandri, Berty Skuber, Anna Oberto, Anna Paparatti e Olga Rozanova.

La mostra veneziana ebbe nel 1979 una seconda tappa, presso la Columbia University di New York, dove figurò con il titolo «From page to space». Alcune di queste artiste che esposero a Venezia e a New York sono ora riproposte nella mostra-capsula del 2022.

Ad esse, però, si aggiungono, nel contesto della stessa presentazione, le opere delle pittrici astratte Amy Silman, Jacqueline Humphries e Vera Molnár, della scultrice in stoffa Cecilia Vicuña, della pittrice etiope Merikokeb Berhanu, della scultrice indiana Mrinalini Mukherjee, della pittrice figurativa portoghese Paula Rego, della scultrice siriana, ma americanizzata, Simone Fattal.

Ma la capsula «Corpo orbita» presenta anche la documentazione fotografica dell’operato di due donne che non furono artiste, ma celebri medium: Eusepia Palladino (1854-1918) e Linda Gazzera (1890-1932). Levitazioni di corpi e tavolini, materializzazioni di bambole, tutto un repertorio di fenomeni paranormali e spiritici resero famose nel mondo queste due italiane, sicuramente molto creative.
La medium Linda Gazzera (1890-1932), la cui documentazione fotografica era presente nella mostra «Materializzazione del linguaggio»

BIENNALE DI VENEZIA

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