L’ultima resistenza della supremazia bianca

Per i musei e per il sistema educativo degli USA è il momento di fare i conti con la teoria critica della razza, di affrontare la narrativa di certa destra contraria a qualsiasi discussione sostanziale sul razzismo

«Five Great American Negroes» di Charles White (1939) al MoMA di New York. Il murale raffigura importanti afroamericani: Sojourner Truth, Frederick Douglass, Booker T. Washington, George Washington Carver e Marian Anderson Foto: Robert Nickelsberg/Getty Images
Kelli Morgan |

Ho dedicato la mia carriera allo studio della teoria critica della razza e a come può essere impiegata nei musei. È un quadro accademico che esamina il modo in cui i sistemi legali creano realtà razziali, sfidando l’idea che la razza sia un dato di fatto e incoraggiandoci a pensarla come una struttura sociale.

La teoria critica della razza rifiuta la filosofia del daltonismo. Considera come il razzismo sia incorporato nelle istituzioni statali e nei sistemi legali, rafforzati a loro volta da gerarchie storiche. Nonostante decenni di riforme dei diritti civili, negli Stati Uniti persistono forti disparità razziali in termini di reddito, salute, istruzione e carcerazione. Molti dei rappresentanti eletti si oppongono attivamente alla teoria critica della razza, raramente compresa e presa sul serio anche dai responsabili dei musei americani.

Dopo la morte di George Floyd e Breonna Taylor c’è stato un cambio di passo e le discussioni sulla razza hanno acquisito importanza. Ma, cinque o sei anni fa, ai musei non importava nulla, molti direttori non capivano che cosa intendessi quando parlavo di teoria critica della razza, o non la sostenevano: «Avete gli artisti neri appesi al muro, ma state contestualizzando bene la loro opera? Sarà rilevante per una comunità nera della classe operaia a Birmingham in Alabama?».

Questo atteggiamento persiste tuttora: finché abbiamo artisti neri sui muri, collezioniamo il loro lavoro, assumiamo il curatore nero, ci sentiamo bene. Ho dovuto affrontare molte discriminazioni e avversità mentre ero all’Indianapolis Museum of Art. E non tanto perché sono nera, ma per il tipo di persona nera che sono, per quello che so, che applico, i miei studi sui neri sono il problema. La rappresentazione è il problema. Non si tratta di diversità o di inclusione o di essere antirazzisti, ma di come rappresentiamo l’arte. C’è grande attenzione alla diversità, ma poco riconoscimento della sua rappresentazione.
A volte le istituzioni abusano di termini come diversità, inclusività, equità, uguaglianza, ma senza definirli. Esistono diverse definizioni di queste parole tra le diverse comunità e le diverse discipline. Non viene fatta una ricerca. L’equità, per esempio, nelle discipline umanistiche significa qualcosa di completamente diverso da ciò che significa nel settore immobiliare.

Le istituzioni culturali non sono strutturate in modo tale da elaborare la propria politica in materia. È considerato troppo difficile. Si vuole che la diversità e l’inclusione siano qualcosa di facile, per cui basta chiamare qualcuno o tenere dei corsi di formazione. Il tempo, l’investimento e l’impegno necessari per farlo correttamente intimidiscono.

Immaginate di acquisire un raro arazzo turco del XIII secolo e di chiedere a un curatore di arte contemporanea di farci qualcosa. Un museo non lo farebbe mai, setaccerebbe il pianeta per trovare un conservatore specializzato. Lo sviluppo di una cultura vera e genuina della diversità e dell’equità richiede la stessa quantità di impegno e investimento. È incredibile quanto si debba combattere con le persone per farglielo capire. C’è grande aspettativa che le persone di colore, in particolare i neri, debbano essere pazienti, spiegare pazientemente queste cose. È una funzionalità del privilegio bianco.

I musei dovrebbero assumere un ruolo guida su questo. Non stiamo affatto insegnando la teoria critica della razza nel sistema educativo americano. A chi seguirà una carriera legale o sceglierà di studiare sociologia verrà formalmente insegnata la teoria critica della razza al college. Alla stragrande maggioranza delle persone là fuori non sarà insegnata la teoria critica della razza in alcun modo, in nessuna fase.

La narrativa di destra è evidente nella campagna per il governatorato della Virginia e nelle recenti elezioni del consiglio scolastico in America, e probabilmente lo sarà anche nelle elezioni di mid-term del prossimo anno: l’affermazione è che i teorici critici della razza stanno in qualche modo prendendo il controllo delle nostre scuole. Ed è incredibile vedere quante persone sono disposte a crederci.

Questo attacco alla teoria critica della razza, questo tentativo intenzionale di confondere e denigrare il termine è dovuto a think tank di destra. È una campagna contro qualsiasi discussione sostanziale sulla razza e il razzismo negli Stati Uniti: l’ultima resistenza della supremazia bianca. È una campagna guidata da persone profondamente coinvolte nelle realtà sistematiche dell’uomo bianco. Abbiamo bisogno di conversazioni oneste su che cosa sia e su che cosa non sia la teoria critica della razza. È il momento di essere sinceri sulla storia del Paese.

Provo simpatia per gli insegnanti che stanno cercando di incoraggiare discussioni significative sulla razza nelle loro classi. Nuotano contro corrente e una nuova corrente diventa più forte. Quando inizi a guardare la storia da una lente nera o da una lente dei nativi americani, la storia cambia drasticamente. Non si ha l’impressione che i bianchi abbiano fatto tutto da soli o che fossero in qualche modo superiori.

Personalmente, se potessi cambiare il sistema educativo, rimuoverei la narrativa dei Grandi Uomini Bianchi. La chiamo la narrativa di Washington, Jefferson, Lincoln, Columbus. Impari a conoscere solo gli uomini, non gli eventi storici in cui sono stati attori. Decentralizzerei l’individuo. E parlerei di questioni come la schiavitù e come erano e sono tuttora le costruzioni legali.

Kelli Morgan è professoressa di Teoria, storia e pratica dell’arte e dell’architettura e Direttrice del Dipartimento di Studi curatoriali e storia dell’arte e dell’architettura alla Tufts University. È stata curatrice all’Indianapolis Museum of Art di Newfields, al Birmingham Museum of Art e alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts

© Riproduzione riservata