L'ombra oblunga della pittura di Cornelia Badelita
Da Peola Simondi le predelle dell'artista rumena dialogano con la storia dell'arte e della pittura

Può una predella diventare fulcro di un’opera pittorica? Sì, se si tratta del «Cristo morto» di Holbein conservato al Kunstmuseum di Baslea, a poca distanza dal «Compianto sul Cristo morto» di Böcklin. L’opera di Holbein, sorta di pre-giacomettiano contraltare gotico al trionfo prospettico dell’opera di analogo soggetto di Mantegna, appare in un celebre passo de L’idiota di Dostoevskij; osservando quel quadro, dice il principe Myškin, «c’è da perdere ogni fede». Ma se l’interlocutore di Rogožin non vi leggeva altro che il trionfo della morte sulla divinità, Cornelia Badelita, artista del XXI secolo, vi prende spunto per rilanciare, se non l’eternità, certo la durata e le ragioni della permanenza della pittura nei linguaggi artistici contemporanei.
Da sempre l’artista di origine rumena (Radauti, 1982), da tempo stabilitasi in Italia, articola le sue opere intorno a tre punti di riferimento. Il primo è il dialogo con la storia dell’arte e della pittura, anche nei suoi protagonisti minori, come l’olandese Adriaen Coorte, autore di nature morte tra Sei e Settecento; il secondo è un concetto di arte come esercizio quotidiano in cui coesistono una dimensione esistenziale e una ritualità tecnica di alto livello; il terzo è l’ossessione per il doppio, per la specularità, per la smagliatura nell’iterazione.
Per un’autrice di nature morte i cui soggetti appartengono a una quotidianità animata da fragili giocattoli, sculture infantili, biscotti, noci pronte ad esaltare la loro anche inquietante natura bivalve, così simile all’encefalo umano, ciò che è tradizionalmente «laterale» può acquisire sorporendente centralità. Della pala d’altare, al trionfo dell’epifania sacra dello scomparto centrale preferisce la terrena narrazione di ciò che precede, anticipa, annuncia o è «causa» di quanto vediamo in alto. Questa narrazione è nella predella, e nella sua forma oblunga, in questo caso di 10 centimetri d’altezza per un metro di lunghezza, prendono vita le nature morte, di preziosa fattura neofiamminga, di Badelita.
Dall’uso di un doppio pennello scaturiscono in coppia oggetti simultaneamente messi a fuoco e sfocati, come destruttturati nella loro composizione gestuale e cromatica. Altri elementi innescano una favolosa danza, altri ancora rimandano a ciò che rimane di un’azione già consumata, come il «pongo» modellato da una mano infantile. Predelle, ma anche fregi posti al livello dello sguardo del visitatore, il «Continuu» (titolo che li riunisce nella galleria Peola Simondi sino al 7 maggio) di questi dipinti ammicca alla bella pittura per rivelare che dietro l’intimismo della «lateralità» si celano spesso enigmi e verità.